Un blog ideato da CeMON

maschera-malattia
20 Aprile, 2021

La maschera di una lachesis

Nessuna immagine disponibile

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER

Ogni lunedì riceverai una ricca newsletter che propone gli articoli più interessanti della settimana e molto altro.
Tempo di lettura: 8 minuti

Approfondendo dal punto di vista della clinica omeopatica integrale, è importante capire cosa esiste tra la maschera e l’Identità di un essere umano, nel processo di crescita e nel suo sviluppo naturale. In uno stato di salute, intervengono due aspetti inevitabili e fondamentali, che non sono solo ostacoli, ma strumenti integrali naturali dello sviluppo dell’essere umano, e per tanto inevitabili, indispensabili e necessari.

In primo luogo, il collettivo.  Le richieste dell’altro: famiglia, amici, lavoro ecc… che ognuno di noi cerca sempre di soddisfare da bambino per essere accettato, per sentire che appartiene al mondo che gli ha dato radici e stabilità, e per sentire la sua continuità e la sua accettazione. Sentire che si appartiene bene al mondo in cui l’Essere e’ cio’ che E’. Cioè, “gli altri”.

In secondo luogo, le proprie passioni.  Strumenti primordiali e decisivi del mitico “cammino dell’eroe” che tutti intraprendiamo nella vita, consapevolmente o inconsciamente, dovendo superare i conflitti naturali del nostro vivere che ci mostrano la realtà di “chi siamo”, quello che vogliamo conoscere, sapere, trovare, realizzare e mostrare agli altri per essere non solo diversi, ma manifestamente irripetibili, cioè con l’aroma dell’eternità. Tutto questo, accade senza pensare, senza fare elaborazioni complicate, è un movimento naturale all’interno del  crescere  giorno dopo giorno, anche di una persona semplice e non complicata. Questo è conforme a noi tutti e lo riconosciamo con la parola “naturale”.  

In uno stato di malattia, acuta, falsa o cronica, oltre ai primi due, si frappone la malattia stessa, fisica, mentale ed ereditaria. Questo è come un dialogo di ognuno con la propria storia all’interno del dolore e della sofferenza, del “non essere” e del sentire “di non poter essere” ciò che intuiamo dovrebbe naturalmente appartenerci.

La costruzione della maschera è così naturale ed inevitabile come la crescita e lo sviluppo del corpo (soma) e dell’anima (psiche). Forma “un insieme unico” con la propria identità. Questa realtà e’ piena di impulso creativo che ci rende conformi e vive dentro di noi per dirigerci e affinché possiamo realizzarci e raggiungere la nostra pienezza come elementi dell’Universo. “Essere ciò che ognuno sa di dover essere”. Un impulso istintivo, ricevuto ma allo stesso tempo proprio, naturale e pieno di “fame di vivere, di risplendere, riconoscersi e manifestarsi”. Essere!

Mentre la maschera si mostra ed è riconosciuta all’esterno, come il corpo stesso e attraverso esso, l’identità in quanto tale, è  interiore, qualcosa di sostanziale ed invisibile dentro di noi. È il “sé stesso” che ci abita. Questa nostra identità può essere conosciuta solo attraverso la nostra corporeità e quindi per la sua manifestazione esterna. Vale a dire, dai miei gesti, dal mio volto, dal mio modo fisico di essere e dal mio temperamento, dal mio carattere, dal mio modo di muovermi, sentire, comprendere e vivere la vita. Questo è ciò che capiremo attraverso “la mia maschera”, sia in salute che in malattia.

Come la maschera interpreta la malattia

Nello stato di salute, l’esterno (la maschera) è un’immagine adeguata ed armoniosa, in sintonia con la propria identità  interna della persona. Nell’evoluzione e nella crescita di ogni individuo, l’identità non cambia, ma si sviluppa, si apre come un bocciolo di rosa fino a manifestare il massimo del suo splendore. Cioè, dalla nascita alla morte, ognuno di noi “è quello che siamo” e inoltre, non possiamo essere nient’altro (ne’ tantomeno lo vogliamo). 

Come tutti possiamo constatare, una persona sana è affidabile perché possiamo vedere cosa è realmente, attraverso il suo comportamento, i gesti, il viso e il modo di comportarsi. È coerente con se stessa in modo naturale e spontaneo e lo manifesta agli altri. 

Mi permetto di segnalare che coerente non è  sinonimo di perfetto, ma di genuino. Nemmeno sano vuol dire perfetto. Significa semplicemente che rappresenta adeguatamente ciò che È.

Nello stato di malattia questo non accade. Ciò che si manifesta all’esterno non coincide con ciò che è, o ciò che ognuno dovrebbe essere, secondo la propria realtà e mistero. Nella malattia (infermo=mancanza di fermezza) ciò che si evidenzia  è quello che tutti noi consideriamo come una malattia dell’anima o del corpo, ovvero dolore e sofferenza.

I dolori si sviluppano negli organi fisici; anche se sono fisici, parlano sempre di te e della tua storia. Sono solo tuoi, individuali. Non puoi darli a nessuno per farli soffrire a qualcun altro. Hanno la caratteristica di non essere trasmissibili.  Ed inoltre, ti impediscono di raggiungere ciò che vuoi intimamente e sai che ti appartiene. 

La  sofferenza ha una dimensiona più tragica, più legata all’anima e al suo anelito. La sofferenza ti fa soffrire la vita senza essere in grado di conquistarla, gustarla né farti padrone di ciò che è tuo, ed è assolutamente necessario per farti stare bene e dare il meglio di te alla vita e agli altri.  Il dolore e la sofferenza ti impediscono di vivere!

Mariluz: l’eterna bambina. Una Lachesis o una Pulsatilla?

Così possiamo entrare nell’intimità della vita di una delle mie pazienti che conosco da molti anni, così posso parlare della sua storia passata, presente e futura, della sua famiglia, delle condizioni e del “divenire”.

È ultima di 5 fratelli, tre fratelli maschi e un’altra sorella di 7 anni più grande di lei. Cresciuta all’interno di una famiglia classica e patriarcale. Era la piccola, coccolata da tutti, compresi i nonni che vivevano insieme in casa. Questa situazione di “regina e preferita” le piacque e costruì il suo primo incontro ed il suo primo linguaggio con la vita. Con la cura e le coccole di tutta la famiglia, fu inevitabilmente privata delle piccole o grandi prove e difficoltà che la vita dà ogni giorno, essendo oggetto di gioia e soddisfazione per tutti gli adulti ed i piu’ grandi della famiglia. Sempre applaudita nelle sue espressioni capricciose e nei suoi desideri, naturalmente infantili, sempre accontenta e con la vita appianata in ogni modo. La mia paziente è cresciuta  con questo suo modo di essere nella vita, di presentarsi, persino a se stessa. La sua maschera naturale con cui era identificata e con cui voleva identificarsi in ogni momento della sua vita. Era il suo modo di essere e mantenere la sua felicità infantile.

La bambina cresceva, la sua natura e il suo Principio Vitale, l’hanno spinta non solo ad aumentare il volume e l’altezza del suo corpo, ma anche a desiderare un linguaggio ed un incontro con la vita diverso. Tuttavia, lei stessa rifiutava questo cambiamento, questo processo iniziatico naturale e obbligatorio in ogni essere umano. Questo incontro con la morte parziale di quella parte di noi  che già e’ stata consumata e che col passar del tempo ci impone l’evoluzione, lei non lo poteva accettare senza soffrire. E la sofferenza la terrorizzava. Era qualcosa che non conosceva. Questo passaggio imprescindibile per maturare e di conseguenza raggiungere progressivamente la propria realizzazione non era ben accetto dalla bambina. Le procurava dolore, angoscia e non voleva nemmeno vederlo. Quanto meno desiderarlo.

Mariluz si ribellava con tutte le sue forze, coscienti e inconscie alla nuova vita, al punto da frenare la sua evoluzione verso l’espansione ed invertendo il senso della sua crescita, verso un’involuzione. Pertanto Il suo movimento di crescita fondamentale è stato invertito. La sua soddisfazione non consisteva  nel conquistare il mondo e sentire la gioia delle sue conquiste e scoperte, ma sempre nell’essere celebrata e protetta dalla sua famiglia. Si sentiva troppo spaventata per uscire dal suo nido e cambiare tutto ciò che avrebbe dovuto modificare, ovvero il suo “benessere” ovviamente infantile. 

La vita passava… A 40 anni aveva ancora il volto di una bambina, di una bambina invecchiata. I suoi movimenti, i suoi abiti non erano solo giovanili, ma anche bambineschi per le forme, i colori e gli ornamenti. L’apparente giustificazione era la sua attivita’ di artista. In effetti, era diventata una magnifica pittrice. Nelle sue opere incarnava la forza e l’impeto di “ciò che avrebbe dovuto essere”, di ciò che era e di ciò che era nascosto o distanziato dentro “se stessa” dalla maschera infantile che mostrava e dal personaggio teatrale che rappresentava nella sua vita quotidiana.

La paura di separarsi dai suoi amori maschili primordiali, che erano  quattro: il padre, il fratello maggiore, il primogenito i due fratelli gemelli di cui uno era il più bello, il suo “principe azzurro”, stava involontariamente tessendo la difficoltà della sua individuazione naturale. Senza volerlo, manteneva i legami dell’amore primordiale di fusione da cui, in condizioni di un buono sviluppo, avrebbe dovuto gradualmente emanciparsi e differenziarsi. La Vita avrebbe dovuto invitarla ad entrare  nel  mistero del suo proprio essere, ciò a cui era stata chiamata ad essere.  La sorella maggiore era una donna buona ma poco aggraziata e lei, la più bella oltre ad essere la piccola, era diventata la regina dei suoi quattro ragazzi. 

Questa condizione impediva sempre che trovasse un fidanzato, un marito, una sua vita. Non poteva esistere in tutto l’universo “reale”un uomo che potesse detronizzare i quattro Titani maschi a cui aveva sacrificato la sua vita di donna con un filo invisibile a due capi: l’egocentrismo dell’amore di fusione infantile e la paura di vivere. Il momento definitivo di crisi si manifestò quando vinse una borsa di studio speciale per andare nelle migliori scuole d’arte in Italia e in America. Era l’occasione del grande salto. Uno splendido salto che le offriva la  vita per scoprirsi finalmente, riconoscersi, divertirsi ed essere, quello che mai aveva potuto fare. Dopo una lunga indecisione dove da un lato sentiva l’enorme emozione di un nuovo cammino e dall’altro lo strappo dai suoi amori… ha vinto il dispiacere.

Rifiuto’ la borsa di studio e rimase a casa conservando il trono di regina bambina.  Poco dopo tutti i suoi uomini si sposarono, trovarono le loro donne, i loro figli, la loro professione, la propria vita. Ed ella rimase vedova dei suoi amori e professionalmente fallita. 

In poco tempo  sviluppo’ una grave nevrosi isterica depressiva. Piena di invidia e di gelosia. Sempre censurando qualsiasi donna  con espressioni di ridicolo e con una voce infantile che non aveva mai cambiato né sviluppato. Un quadro da Lachesis  nascosto profondamente ed uno strato apparente di Pulsatilla; detto nella lingua propria dell’Omeopatia. A poco a poco si convertì in una zitella senza un senso. Rimase come custode del suo passato nella sua casa, aiutando solo a sostenere la zitellaggine dell’altra sorella e la vecchiaia dei suoi genitori. Accompagnando  con la sua morte la morte dei suoi. Non poteva desiderare di avere figli perché il suo padrone incestuoso con i suoi fratelli, inconsciamente glielo proibiva ed inoltre lei, senza rendersene conto, era la’”figlia unica” della sua vita. Essendo lei la figlia, non ha mai avuto la forza di desiderare di essere una sposa e una madre perché avrebbe dovuto uscire dalla sua maschera.  E per questo motivo, non ha mai conosciuto l’amore, il desiderio di amore di fusione personale e fecondante, Il desiderio di fecondare dentro sé stessa, come ogni donna, una “nuova vita”.

All’età di 40 anni, ha sviluppato un tumore uterino maligno ed ha progressivamente aggiunto una grave miastenia. Come temperamento era insopportabile, pazza. Non si sapeva cosa volesse fare o dire, capricciosa senza senso, e, poveretta, ridicola.

Ha passato il resto della vita tra psicoterapie ed ospedali. L’identificazione con la sua maschera è stata tessuta di paura per la sua stessa vita, e per la vita che le apparteneva. Ora deve prendersi cura di “non morire”. Non ha tempo o ragione per cambiare le sue radici e tornare a se stessa.

C’è un motivo segreto fondamentale.  Non c’è nessuno che la aspetta. 

La riflessione finale per me è, come sempre, un apprendimento vitale. Ho imparato che l’amore deve essere buono, cioè adatto ad ogni cosa o persona nel rispetto di ciò che si è, figlia, sorella, madre, amico, fidanzato, marito, vicino, collega … ecc. Non è bene “desiderare e rubare” ciò che non è tuo, anche se questa frase suona forte, è così perchè l’amore non si trasformi in  un possesso, in modo che non inghiottisca  l’altro togliendogli la possibilità di essere e di  scoprire ciò che gli  appartiene. E’ necessario fare attenzione nell’amare e non usare l’altro per la propria soddisfazione. La vera soddisfazione deve venire e viene dall’amare correttamente. Il fratello come fratello, il padre come padre, il vicino come vicino… e questa, è un’arte. L’arte di vivere. E l’intera arte deve essere scoperta, applicata, sviluppata ed appresa. Diventa vero che amare è prendersi cura l’uno dell’altro, essere a favore l’uno dell’altro, l’amato.  Voglio dire, osserva! Guardandolo possiamo capire come partecipare alla sua vita e dare ciò di cui l’altro ha bisogno e se ci appartiene far sì che possa essere più “se stesso”, diventare migliore. Se non lo si fa, crescendo insieme nell’amore, la vita ti porta all’involuzione.  Ripetere pertanto la lezione e ricominciare da capo, con tutto il dolore che comporta, e vedere come la malattia aiuta a denunciare il disinnesto. È così che ci parla l’universo.

Un’antica preghiera carmelitania che dice:

“Signore, che nessuno sia meno buono per aver subito la mia influenza.

Che nessuno sia mai meno puro, meno vero, meno amabile, meno degno

per essere stato mio compagno nel cammino di ogni giorno verso la vita eterna.”

E penso che questa sia una buona guida per imparare ad amare vivendo e vivere amando, come direbbe S. Agostino. Senza dubbio sarebbe una buona guida per prevenire le malattie e preservare la salute sia dell’anima che del corpo.

1 commento

I commenti sono chiusi.