Quanto conta la consapevolezza in una terapia?
Qualche giorno fa è venuta in studio una giovane mamma con il suo bambino di 5 anni. Primo indizio per me molto importante: sono arrivati in ritardo, senza accennare a delle scuse. Faccio parlare la signora. Il bambino soffre di crisi di asma severe dall’età di 3 anni. È allergico alle graminacee e, per ora, a nient’altro. Nessun’altra patologia.
È stato allattato al seno fino a 4 anni, quindi direi più che sufficientemente. La madre è una donna molto ansiosa e molto controllante, ha raccontato di aver rifiutato le cure di altri medici molto bravi (che conosco personalmente) perché non si è fidata. Nel frattempo il bambino ha continuato ad avere i suoi episodi di broncospasmo aumentando l’ansia e la preoccupazione nella madre, come a volerle richiedere ancor più attenzione, tanto che durante la visita ho notato una presenza eccessiva della mamma su tutto quello che diceva o faceva il bambino.
Alimentazione molto buona, anch’essa molto controllata, sebbene fosse presente un oggettivo eccesso di carboidrati. Ho notato subito un certo grado di disbiosi. Non ho ritenuto comunque che questo potesse essere un problema così rilevante, sebbene fosse ovviamente da correggere.
Il mio istinto mi ha fatto fare qualche domanda di rito.
“Signora, quando è insorto questa asma? È successo qualcosa? C’è stato un evento emotivamente rilevante?”
Domande che spiazzano e che spesso sono ritenute “inopportune”.
Le crisi di broncospasmo sono insorte esattamente quando la mamma ha deciso di tornare al suo lavoro a tempo pieno, inserendo il bambino con un po’ di anticipo alla scuola materna. Fino a quel momento il rapporto era stato esclusivo: bambino – mamma – seno.
Il quel momento il rapporto esclusivo è stato interrotto e il bambino ha provato paura, una paura così intensa da non riuscire a respirare.
Il bambino inoltre, ha compreso (ovviamente non consciamente) che un modo efficace per attrarre l’attenzione della madre sarebbe stato quello di soffocare. Un’attenzione carica di ansia e soffocante a sua volta.
In un meccanismo di questo genere si gettano le basi per una disfunzione affettiva fatta di dipendenza, controllo e senso di colpa. E il padre? A latere, silenzioso e quasi trasparente, rassegnato, potremmo dire.
Ovviamente in un percorso di cura che ha come obiettivo la guarigione, la consapevolezza è la base di quel processo trasformativo necessario per scrostare le concrezioni delle credenze e dei conflitti, ciò che genererà (proprio a quell’età) le armature caratteriali che ci porteremo dietro per tutta la vita.
Ovviamente, quando ho fatto notare che l’asma era insorta come reazione al distacco, la madre mi ha detto che non era venuta per ascoltare congetture, ma per avere una cura per l’asma del suo adoratissimo figlio.
Non voglio sentire congetture = non voglio vedere.
È stato un vero peccato che non avesse intenzione di ascoltare, un bel treno perso. Quando mancano la consapevolezza e l’autentica voglia di comprendere, ogni prescrizione ha realmente scarso valore. Peccato davvero, perché i treni giusti non passano tutti i giorni.