Long Covid: cos’è?
A distanza di quasi due anni dall’inizio della pandemia da SARS-CoV-2 un numero rilevante di persone colpite da COVID-19 presenta manifestazioni cliniche che tendono a prolungarsi precludendo un pieno ritorno al precedente stato di salute: un periodo durante il quale la persona presenta i postumi della malattia, ma non è più infettiva. Le manifestazioni osservate nel cosiddetto Long Covid sono eterogenee e variabili, sia nella localizzazione che nella tipologia e nella durata. L’ampiezza dello spettro sintomatologico e le altre condizioni portano a una mancanza di consenso verso una adeguata valutazione epidemiologica. In linea di massima la gravità della malattia acuta è predisponente per il mantenimento di una sintomatologia in tempi più prolungati.
Il 25% presenta sintomi da Long Covid
Una stima precisa della prevalenza è difficile a causa della variabilità di metodologia di studio, classificazioni e popolazioni studiate. Secondo un recente documento riassuntivo dell’OMS un quarto dei soggetti con COVID-19 manifesta sintomi persistenti a distanza di 4-5 settimane dal riscontro della positività. Il più ampio degli studi, è stato realizzato in UK dall’Office for National Statistics su un campione di oltre 20.000 persone. Ha mostrato una prevalenza di sintomi del 13% oltre le 12 settimane post-infezione. In uno studio svolto in Cina su circa 1700 pazienti la prevalenza di sintomi a sei mesi è risultata molto elevata (76% dei pazienti con almeno un sintomo) con segni residui polmonari presenti alle tecniche diagnostiche di immagine in oltre la metà dei casi che però erano stati tutti precedentemente ospedalizzati.
I meccanismi
Ci sono evidenze che supportano l’ipotesi di una genesi da danno d’organo diretto causato dal virus, con alla base fenomeni autoimmuni, ma potrebbe anche essere coinvolta una risposta immunitaria innata con rilascio di citochine infiammatorie o lo sviluppo di uno stato pro-coagulativo.
I sintomi del long COVID
Le manifestazioni del Long-COVID possono essere grosso modo divise in due aree, una a carattere generale l’altra organo-specifica.
Nel primo gruppo sono prevalenti:
- fatica persistente/astenia
- debolezza muscolare, dolori diffusi, mialgie, artralgie
- insonnia
- peggioramento dello stato di salute percepito
- riduzione dell’appetito
Nel secondo gruppo prevale:
- dispnea, affanno e tosse persistenti
- perdita di capelli
- eritemi
Sono descritti anche disturbi cardiovascolari, neurologici, gastrointestinali, psichiatrici.
Molti studi trasversali e di coorte riportano che l’affaticamento cronico è il sintomo più frequentemente riportato dopo il recupero da covid-19 acuto
Evoluzione del Long COVID
Il rischio di sintomi persistenti aumenta con l’aumentare dell’età e dell’indice di massa corporea, e sembra maggiore nel sesso femminile. La suscettibilità sembra inoltre aumentare con il numero di sintomi nella fase acuta, ma l’associazione con la loro gravità non è ancora chiarita del tutto. Quando i sintomi si presentano tra la quarta e la dodicesima settimana dalla malattia acuta, si parla di Covid-19 subacuto, se si prolungano anche dopo la dodicesima settimana si parla di Covid-19 cronico o Sindrome post-Covid-19 o più semplicemente di Long Covid che può avere una durata variabile, a volte fino a diversi mesi e oltre.
I trattamenti
I trattamenti proposti sono a tutt’oggi sintomatici. La fisioterapia può dare dei buoni risultati così come il miglioramento dello stile di vita: è in corso una sperimentazione sull’efficacia di una educazione alla respirazione, oltre a programmi di esercizi fisici. L’integrazione con vitamina C può essere utile per affrontare l’affaticamento. Studi clinici valutano l’efficacia dell’ossigeno iperbarico, della nicotinamide riboside, della melatonina, tutti modulatori della risposta proinfiammatoria e antiossidanti. In Toscana è attiva una iniziativa della Regione che ha presentato le opzioni terapeutiche delle diverse Medicine Complementari nel Long Covid.
Long COVID e l’Omeopatia?
Sebbene la comunità scientifica omeopatica internazionale non sia stata in grado di produrre degli studi con alti numeri, ogni realtà nazionale ha applicato una metodologia di analisi della pandemia che ha portato a risultati clinici interessanti.
Se per vari motivi, specialmente organizzativi, non si sono prodotti studi omeopatici di rilievo sulla malattia acuta, il Long Covid è sicuramente una occasione di riscatto, soprattutto per i tempi di osservazione che sono più dilatati.
La forza vitale
Secondo una visione omeopatica classica, nelle epidemie è la Forza Vitale collettiva che esprime il suo deficit. In un certo senso si rende vulnerabile a condizioni patogene, virus compresi. Sembra un concetto astratto ma in realtà molti epidemiologi avevano previsto una pandemia anche se non collegata con lo stato di salute della popolazione che è evidentemente peggiorato in particolare nelle patologie croniche.
Questa dinamica, per niente accettata dalla metodologia convenzionale, riguarda le malattie acute, croniche e miasmatiche che Hahnemann aveva brillantemente classificato nelle sue opere. Anche alla luce del Long Covid l’osservazione empirica rivela tutta l’attualità concettuale che è rimasta immutata nei secoli.
Acuto e cronico
Le malattie acute e croniche, sia nel singolo individuo come nella collettività sono collegate tra loro. Questo è il risultato di una osservazione accurata, secolare e sistematica, ma che non viene preso in serio esame come dovrebbe.
Per fermare il cronico che mostra sempre di più un allontanamento dal centro della salute collettiva, si sviluppa la malattia acuta, epidemica o pandemica. La malattia acuta ferma la persona e la costringe a rallentare, lo stesso succede nelle epidemie, solo che al posto della persona c’è una parte più o meno cospicua della collettività.
Pandemia e condizioni generali di salute
Le pandemie minacciano la vita di tutta la popolazione. Occorre chiedersi quali fenomeni si sviluppano in una società per dar luogo a tali eventi, se si tratta di eventi occasionali o collegabili ad altri fattori come la selezione di nuove varianti virali invasive e patogene.
È sotto gli occhi di tutti la deriva ambientale e quella consumistica. Il salto quantico che l’Omeopatia propone rispetto ad altre medicine è quello di mettere in relazione una patologia con lo stato di salute della popolazione generale. Sembra scontato ma non lo è.
Così come il morbillo non è il vero responsabile dei decessi dei bambini africani denutriti e, l’influenza, per lo stesso motivo, colpisce gravemente chi ha situazioni di salute già precarie, così nella SARS Covid attuale, è discutibile una attribuzione di causa univoca. In questa ottica si parla anche di sindemia.
Chi viene colpito
L’infezione non è solo occasionale, legata alla probabilità e alla carica virale. Per la medicina omeopatica esistono altri fattori essenziali. Una parte della popolazione è refrattaria ad ammalarsi o ha una infezione asintomatica. Probabilmente i più sani. Invece coloro che soffrono di patologie croniche sono più soggetti sia ad ammalarsi che a presentare un quadro grave. Una parte poi sviluppa una sequela sintomatologica che denominiamo Long Covid, che peraltro è apparsa anche nelle passate epidemie influenzali, solo che non la si andava a cercare.
Sequela
Il collegamento tra acuto e cronico serve anche a questo. Ovvero in altre epidemie trascorse osservate omeopaticamente, come quelle influenzali, una parte della popolazione colpita dalla malattia acuta presentava sintomi di lunga durata e non tornava allo stato di salute originario. Una parte vi ritornava, una piccola parte tornava con uno stato di salute migliore del precedente. Queste osservazioni meriterebbero maggiore attenzione da parte degli epidemiologici più attratti dalle evidenze che dalle rilevanze. L’Omeopatia si chiede sempre il motivo di un fenomeno, poi magari non riesce a individuarlo.
Cos’è la sequela e perché si sviluppano questi sintomi? Per spiegare non basta fare un collegamento tra acuto e cronico ma occorre scomodare il miasma, ovvero una specie di propensione ad ammalare che ognuno di noi porta con sé. Non è né la costituzione, né la genetica come la conosciamo, ma ha a che fare con queste. I sintomi della sequela provengono da un livello più profondo, proprio dal cosiddetto miasma, che non è frutto di un vaneggiamento speculativo ma ha una coerenza clinica e fenomenologica.
Influenza e COVID
Due malattie simili non possono coesistere, la più potente sopprime la più debole, questa osservazione è alla base del concetto di Omeopatia e di potenza. Questo è il vero motivo dell’assenza di epidemie influenzali quest’anno. Le mascherine non c’entrano. I virus competono tra loro, una varicella e un morbillo non potranno mai coesistere.
Il Covid possiede una notevole infettività e forza arrivando a essere più invasivo di altri virus e occupando l’area biologica a disposizione. Questo secondo l’omeopata è il vero motivo della eclisse dell’influenza nella stagione passata. L’assenza delle epidemie di influenza, se ben analizzata e considerata, potrebbe fornire spazio a nuove linee di ricerca.
Che fare?
Oltre alla prevenzione primaria (prima della malattia), secondaria (durante) e terziaria (dopo), la medicina omeopatica classica può contemplare sia una cura collettiva che individuale. Mentre con la pandemia sono state proposte cure più “collettive” e usati rimedi come Arsenicum album, Bryonia, Gelsemium, a seconda delle fasi e dei sintomi, nel Long Covid la terapia potrebbe tornare a essere personalizzata come sempre. Nella sequela post epidemica, alcuni (pochi) propongono un rimedio unico (per esempio Carbo Vegetabilis) che tiene conto dei sintomi collettivi, mentre gli altri propongono una cura individualizzata.
La prima opzione è più complessa perché necessita di una raccolta di sintomi comuni alla sequela che non è di facile realizzazione, così come non lo è stata la individuazione del cosiddetto genio epidemico durante la pandemia.
Vaccino e omeopatia
L’Omeopatia è nata insieme ai vaccini. Sono passati più di 200 anni ed entrambe le terapeutiche sono tuttora praticate. Se l’Omeopatia ha mantenuto un impianto pressoché stabile i vaccini si sono evoluti con la tecnologia. In realtà molti dei vaccini per il Covid non sono tali ma utilizzano l’mRNA per indurre la produzione di una proteina eterologa, non appartenente all’organismo umano, ma propria del virus: la oramai popolare proteina spike. Qualora si venga in contatto con il virus vengono sviluppati anticorpi che rendono efficace la protezione.
Questa valutazione di efficacia è fatta su una base statistica, che guida oramai le scelte sanitarie. L’Omeopatia invece è fondata sulla soggettività e individua nelle persone una enorme vastità di reazioni vitali, in questo senso si sottrae alla logica della statistica che considera il soggetto come oggetto e come numero, ma utilizza altre forme di statistica, come quella Bayesiana per esempio.
Ricerca e futuro
Esiste una discrepanza enorme tra quello che gli omeopati di tutto il mondo fanno ogni giorno sui pazienti e la capacità di documentare queste esperienze cliniche. L’atteggiamento delle organizzazioni omeopatiche durante la pandemia ha confermato questo aspetto. A causa di questo divario, che è avvalorato dal boicottaggio che l’Omeopatia subisce in certi ambiti istituzionali, ci giochiamo le possibilità di imporci come presenza credibile di terapeuti nei confronti di chi ci osserva e soprattutto ci giudica. Ci riferiamo alla ricerca supportata dalle osservazioni cliniche sui pazienti caratterizzate da una propria metodologia: per l’omeopata combattere il virus per eliminarlo, senza pensare al resto, è una strategia biologicamente poco efficace.