David Le Breton (nato a Le Mans nel 1953) è un sociologo ed antropologo francese, che ha messo al centro delle sue analisi il tema del corpo. Ciò ha spinto le sue riflessioni al di là dei paradigmi, in un dialogo tra differenti forme di conoscenza, ivi compresa la medicina. Ma nessuna di esse, d’altronde, a cominciare dalla medicina, può fornire risposte assolute su un tema così complesso. “La medicina non è in grado di rispondere a tutte le preoccupazioni di un paziente, per il quale la propria affezione non è solo un avvenimento biologico, ma dapprima un interrogativo su sé stesso che lo coinvolge in una ricerca di senso.”
Antropologia del corpo
Nella sua Antropologia del corpo Le Breton distingue una concezione antica ed analogica del corpo come luogo di appartenenza e comunione, da una concezione moderna e discontinua in cui il corpo diviene elemento di individuazione e separazione. Se nelle dissezioni anatomiche di Vesalio i corpi ancora recano le cicatrici dell’origine comune a cui sono stati sottratti, il corpo moderno diventa invece sempre più segno inerte e meccanico, residuo dell’ego cogitans.
All’origine dell’età moderna, anche quella del corpo rientra in una rappresentazione razionale ed utilitarista. Il corpo viene raffigurato come macchina.
Con Vesalio e con Leonardo inizia il passaggio dalla scientia contemplativa alla scientia activa. Occorre ora – secondo il proposito di Cartesio – diventare dominatori e padroni della natura.
In quest’ottica, il corpo rischia di diventare, separato ed inessenziale alla mente razionale, “un cadavere che cammina in cui l’uomo non può riconoscersi”. “Accedere alla verità consiste nello spogliare i significati delle loro tracce corporee o immaginative. La filosofia meccanicista ricostruisce così il mondo a partire dalle sue categorie di pensiero; scinde il mondo abitato dall’uomo, accessibile alla prova dei sensi, dal mondo reale, accessibile alla sola intelligenza.”
Il corpo appare come una macchina meravigliosa e tuttavia fragile. Fino ad oggi una sorta di bioingegneria applicata al corpo umano ha progettato e continua a progettare ogni sorta di protesi, impianti, trapianti.
Differenti medicine
“Le differenti medicine aderiscono tutte a una certa verità del corpo e della malattia.” “Nessuna medicina consiste nella restrizione di un’altra, bensì in una possibile via d’accesso al corpo e alla sofferenza attraverso la mediazione della relazione terapeutica.”
“Lo zoccolo epistemologico della medicina poggia sullo studio rigoroso del corpo, ma di un corpo in assenza di gravità, scisso dall’uomo e considerato come ricettacolo della malattia.” La malattia, scissa dalla storia della persona malata, diventa “un’intrusa, nata da una serie di causalità meccaniche”, in nome di un sapere del corpo che trascura l’uomo che soffre. La clinica resta però sempre aperta ad un diverso approccio. “La consultazione dovrebbe recuperare la soggettività e tessere un legame fra il corpo e il paziente.”
Ciò che la medicina popolare ha sempre saputo, e che la psicoanalisi ha riscoperto è che “la realtà del corpo è di ordine simbolico”. L’una si affidava alla prontezza d’azione dello sciamano, l’altra si affida al lento percorso del paziente.
“La medicina, che è alla ricerca dell’oggettivazione migliore, separa il soggetto e l’oggetto della sua conoscenza, si distacca dal malato per fondare la malattia sul sapere. Un approccio differente lo hanno le medicine cosiddette dolci, che, in principio, non trascurano ciò che avviene fra il malato e il terapeuta e s’impegnano a ricollegare il malanno al soggetto.”
“Il mondo disincantato aspira a delle nuove spiritualità.” Con un eclettismo che rischia tuttavia di essere superficiale, facendo ricorso a “modelli eterocliti, più o meno assimilati”.
L’interesse diviene quello di crearsi una zona comfort, una sorta di estesia della vita quotidiana. La salute diviene, se non l’occultamento del corpo, la possibilità di distrarsene. La principale consapevolezza del corpo deriva quindi dalla malattia. “Come se la coscienza del corpo fosse il luogo della malattia, e la sua assenza soltanto ne definisse la salute.” Quello che manca è perciò un sano sentimento della propria incarnazione in un corpo.
Riappropriarsi del corpo
“Il corpo contemporaneo è simile a una vestigia.” “Le attività possibili del corpo, quelle attraverso cui il soggetto costruisce la vivacità della sua relazione con il mondo, con cui prende coscienza della qualità di ciò che l’attornia e che strutturano la sua identità personale, tendono ad atrofizzarsi”. Ma è possibile rivolgersi al passato per ritrovare sane forme in cui vivevamo il corpo come una sensoriale esperienza del mondo. “La marcia, la bicicletta, i bagni, le attività fisiche legate al lavoro, alla vita domestica, o personale, favorivano l’ancoraggio corporeo dell’esistenza.”
“Il mondo contemporaneo riduce il continente del corpo.” Le Breton cita Paul Virilio: “l’umanità urbanizzata diviene un’umanità seduta”. Proliferano discorsi sul corpo e buone pratiche, compensatorie del fatto che non è più esso “il centro radiante del soggetto”. Pratiche, di cui si sente il necessario potenziale liberatorio. “La messa in gioco fisica di sé porta alla gioia.”
“Siamo al corrente della crescita dei disturbi psicologici legati alle carenze del narcisismo, all’impressione di non sentire nulla, al vuoto interiore, alla siderazione dei sensi e dell’intelligenza, alla piattezza dell’esistenza.” “L’esplorazione sensoriale, incoraggiata dalla sofrologia, dai massaggi, dallo yoga, dal rilassamento, dal Tai Chi, dalle arti marziali, ecc., per citare alcune delle pratiche che propongono un uso inedito del corpo, traduce bene questa necessità antropologica di una nuova alleanza con una corporeità sottoutilizzata.”
Le Breton elogia la capacità di riprendersi lo spazio del proprio corpo in un tempo che non sia quello frettoloso della mera efficienza. Il tempo della flânerie, del camminare ozioso. “Camminare è un’esperienza della libertà, una fonte inesauribile di osservazioni e di rêveries, un godimento felice per quei sentieri che porteranno a degli incontri inattesi, a delle sorprese”.
“Si esplora il proprio corpo come fosse un oggetto da coccolare, come un accessorio o un partner di cui occorre conquistarsi il favore”. La ricerca di autenticità è paradossalmente divenuta una moda. “L’estetizzazione della vita sociale si fonda su una messa in scena raffinata del corpo”. “S’impone così un’esigenza spietata di seduzione e di perfezionamento di sé.” “Poiché il corpo è il luogo della scissione, gli si accorda il privilegio della riconciliazione. È qui che occorre applicare il balsamo consolatorio.” Il presupposto, perciò, che rimane alla base è che ci sia un’opposizione radicale tra l’individuo ed il proprio corpo, che il corpo sia un alter ego. “Il corpo diviene quindi un compagno da curare per meglio essere sé stessi.”
Il rischio è che questo ludico culto del corpo sia una maschera, una dittatura dell’apparenza dietro cui rimane il dolore del corpo che vuole radicalmente manifestarsi. Come cerca di fare nell’autolesionismo, nella sinistrosi, nell’accreditarsi la sofferenza del proprio corpo. Il corpo diviene un segno della lotta per il riconoscimento. Si cercano segni corporei tangibili, per sfuggire all’incertezza.
“Un’astuzia della modernità spaccia per liberazione dei corpi ciò che di fatto non è che un elogio del corpo giovane, sano, slanciato, scolpito, igienico.”
L’ambiguità del cliché della liberazione del corpo si rivela nel confronto con le persone che a vario titolo hanno impresso nel corpo il loro handicap. Anziani, malati, pazzi creano allora imbarazzo e disagio. “Nelle nostre società occidentali, l’individuo portatore di handicap è percepito attraverso il prisma deformante della compassione o della marginalizzazione.” “Il corpo è per l’uomo una matrice identitaria, la sua alterazione rende l’identità estranea a sé stessa, almeno per l’altro a cui non fa più da specchio.” “La visibilità dell’handicap nella conformazione corporea, nei gesti o nella mimica è uno straordinario attrattore di sguardi e di commenti, un operatore di discorsi e di emozioni.”
Uno stigma esonera dalla banalità. “I limiti del corpo stabiliscono, in maniera proporzionale, l’ordine morale e l’ordine dei significati del mondo. ”La liberazione del corpo richiede anche l’integrazione e la comprensione della sua sofferenza”.