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22 Luglio, 2023

Bruno Latour: La ridefinizione delle scienze.

A proposito della questione ambientale.

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BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XII • Numero 45 • Marzo 2023

BIO Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità e il modello degli attanti di Bruno Latour

Un semplice SARS-CoV-2, il Mediterraneo, i gasdotti, Internet, una bambola voodoo, l’Escherichia coli, il concetto di libertà, i monsoni, le lingue estinte, i tank Leopard e le placche tettoniche, solo per iniziare un elenco infinito. Tutti, nei termini di Latour, sono entità reali. Tutti, però, nei suoi termini, sarebbero socialmente attivi. E, a loro modo, nella visione sociologica di Latour, queste ed una miriade di altre entità non-umane sarebbero attori[1] ingaggiati nella produzione del nostro mondo. Siamo ancora al paragrafo di apertura e già a questo punto Bruno Latour avrebbe potuto fermarci per fare una piccola correzione. Nella sua interpretazione della realtà come costruzione sociale avrei dovuto utilizzare il plurale perché nella sua visione anziché un mondo noi costruiamo mondi. In ogni modo, e malgrado il piccolo scivolo, per chi conosce il progetto editoriale BIO Educational Papers, non farà fatica alcuna ad individuare quanto il pensiero di Latour sia pervasivo nella visione di BIO circa la Medicina come un costrutto sociale.

Per Latour, uno dei pensatori più influenti e provocatori del secolo scorso, il mondo è sempre multiplo. Soprattutto, il suo pensiero è pluralista e questa è la sua eredità. È morto il 9 ottobre 2022, lasciando dietro di sé, come concezione della vita, un pluralismo che accoglie non solo i mondi non occidentali ma perfino, in maniera notevole, i mondi dei non-umani, che non sarebbero, stando a lui, solo cose o forze, ma attori con il potenziale per modificare i mondi. Questo pluralismo, però, seguendo l’analisi del professore Stephen Muecke sull’opera di Latour,[2] non andrebbe inteso come un relativismo del tipo va bene qualsiasi cosa. Inoltre, aggiunge Muecke, in un’epoca in cui i mondivengono distrutti a un ritmo senza precedenti, la posta in gioco di queste distruzioni di mondi sarebbe questione di vita e di morte.

Il modello pluralista – costruttivista di Latour per spiegare la realtà sociale, distaccandosi decisamente da qualsiasi interpretazione essenzialista della natura e della società, sarebbe da essere considerato come un modello radicale perché mostrerebbe quanto siano stati attivi i non-umani negli affari umani. Tale modello, come suggerisce Muecke,[3]richiede nuove strategie politiche che riconoscano che noi umani non siamo gli unici coinvolti nella produzione della verità. Nella visione di Latour, infatti, le forme della natura, come le montagne, i virus, i venti e le entità  non-umane, come strade, documenti politici oppure una farmacopea, sarebbero da intendersi come attanti intrecciati in reti politiche.[4] Per usare la sua frase, formerebbero ecologie politiche.[5] Se questa siano ecologie, puntualizza Muecke,[6] sarebbero da intendersi in un modo molto radicale, e addirittura francese, perché tra gli attanti di Latour non troviamo nessuno della devozione della tradizione essenzialista nordamericana associata a Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau, che cercarono un’ecologia spirituale nella natura incontaminata. La nozione di ecologia di Latour sarebbe pratica, legata sì alla terra ma orientata ai problemi.

Accenni biografici di Bruno Latour per accedere al suo pluralismo ecologico di inclusività dei non-umani

Per capire da dove Latour abbia raccolto delle intuizioni che lo portarono a sviluppare una tale visione, stando a Muecke,[7] si dovrebbe far riferimento alla sua biografia. Latour nasce nel 1947 in un’antica famiglia di produttori di vino in Borgogna. In qualità di commercianti-coltivatori, Maison Louis Latour appartiene al club esclusivo delle aziende francesi a conduzione familiare che operano ininterrottamente da più di 200 anni. Una francesità profondamente radicata potrebbe avergli dato il gusto per l’appartenenza territoriale e la sopravvivenza delle tradizioni. La Borgogna, si potrebbe naturalmente dedurre, gli mostrò i legami specifici tra natura, cultura e tecnologia, tra viti addomesticate, terroirs, tecniche di fermentazione, il naso del vignaiolo, l’artigianato del bottaio, le reti di distribuzione e la socialità umana, per di più, arricchite dal buon vino. In un paesaggio così trasformato, come potrebbe la natura non diventare Natura attanti per un osservatore come Latour. Cresciuto in tale paesaggio leggendario, tra vigneti e vignaioli, nell’interpretazione di Muecke,[8] è comprensibile che il suo pluralismo, per paradosso, abbia avuto inizio dialettico proprio lì.

Latour non inizia la sua attività intellettuale occupandosi dalla questione ecologica né con il suo pluralismo di inclusività degli attanti non-umani. Stando ai suoi studiosi,[9] la sua prima preoccupazione sarebbe stata quella dell’inevitabile conflitto tra l’idea di Dio e un mondo ideologizzato dal secolarismo positivista, con il suo corollario, cioè l’idea del fatto oggettivo. Questo suo indirizzo avrebbe cominciato a profilarsi già nei primi anni dei suoi studi in filosofia, antropologia, letteratura e storia delle scienze. All’università, i suoi contemporanei erano i soixante-huitards [i sessantottini] che avrebbero portato la Francia al punto di un quasi rovescio del governo tra il 1968 e 1969. Nel caso di Latour, la loro eredità sarebbe più intellettuale che politica. Sulla scia delle proteste di piazza e delle battaglie campali, una nuova guardia aveva preso posto nel sistema universitario francese con idee entusiasmanti che avrebbero dato vita a quello che sarebbe poi diventato il post-strutturalismo e il post-modernismo. Latour, stando a Muecke, sarebbe stato ai margini di questo cambiamento, ma sarebbe stato comunque influenzato da un anti-umanesimo prevalente in Francia associato a marxisti strutturalisti come Louis Althusser e, più tardi, Michel Foucault e Gilles Deleuze, come al riguardo sostengono rispettivamente Colin Koopman[10] ed Edward Thornton.[11]

Questo anti-umanesimo era, effettivamente, una reazione contro un umanesimo liberale che edulcorava le differenze umane e non riusciva a vedere le disuguaglianze evidenziate dai marxisti. Le lotte di classe erano, ovviamente, centrali, tuttavia Latour si sarebbe trovato in contrasto con l’ortodossia critica marxista. Nonostante il loro anti-umanesimo, i marxisti ortodossi consideravano la società composta da soli gruppi umani. Gli umani sembravano essere gli unici veri attori che contavano. Al riguardo, Latour avrebbe avuto l’intuizione di attribuire un potere anche ad attori non-umani. Avrebbe intuito e compreso che non tutte le forze erano sotto il nostro controllo umano ma che eravamo controllati, dai germi alle macchine a vapore, per citare solo due forze agenti. Quest’idea, apparentemente comica o ridicola, è stata una sfida diretta alle basi del pensiero moderno.

Latour: la fine della modernità e l’attribuzione di potere agli attanti non-umani

Alla fine del XX secolo l’idea di umanità iniziò a cadere dal suo piedistallo centrale nei sistemi di pensiero occidentali dopo aver regnato sovrana dall’Illuminismo. Emersa in Europa durante il XVI e il XVII secolo, l’idea dell’uomo che domina la natura diventò parte di un trionfalismo modernista che cercò di colonizzare il globo. Il primo libro di Latour Nous n’avons jamais été modernes (1991) in italiano Non siamo mai stati moderni (2009)[12] può essere interpretato come un tentativo di sgonfiare questo trionfalismo. In questo suo lavoro Latour ci ha posto domande sconcertanti su dove ci stavano portando alcune delle nostre istituzioni più fidate, in particolare le scienze. Latour ha messo in dubbio la misura in cui queste istituzioni, cioè le scienze, hanno abbracciato l’idea che attraverso il lavoro scientifico positivista possano essere scoperte delle verità universali sul mondo naturale.

Latour e i suoi colleghi hanno presentato la conoscenza scientifica come una costruzione deliberata, un prodotto di varie interazioni sociali, politiche ed economiche in costante competizione. Questa visione pluralista della conoscenza è all’origine del campo degli studi scientifici e tecnologici che analizza criticamente le scienze mentre cerca anche di costruire ponti con le discipline umanistiche, ponti tra questioni di fatto e questioni di interesse, come ha affermato Latour stesso.[13] Latour è stato uno dei fondatori di quello che sarebbe diventato l’approccio principale della sociologia, la teoria della rete degli attori.[14] Questa anziché come una teoria potrebbe essere intesa come un metodo che ci chiede di seguire gli attori o attanti non-umani che si fanno le cose l’un l’altro e di non concentrarci sulle opposizioni artificiali che abbiamo tradizionalmente costruito tra, ad esempio, soggetto e oggetto. Tale opposizione è precisamente al centro della scienza positivista che postula che i fatti aspetterebbero solo di essere scoperti in un mondo oggettivo e, una volta scoperti, diventerebbero permanenti.[15]

Per gli addetti all’establishment, dubitare degli assiomi e dei corollari fondanti del pensiero ufficiale del sistema, risulta scandaloso nonché un atteggiamento da irresponsabile, perfino da complottista. Per tale gruppo d’interesse, urlare allo scandalo e consorziarsi nella critica alla sollecitazione del dubbio forse rientrerebbe in una logica di prestazioni. Questi preposti del biopotere dinanzi alle sollecitazioni al dubbio ricorrono spesso alla derisione nelle loro campagne di screditamento del pensiero non convenzionale. Infatti, si potrebbe immaginare che i mentori del pensiero ufficiale potrebbero rivolgersi agli studiosi come Latour chiedendo se qualcuno di loro si troverebbe al suo agio saltando da una finestra al 11° piano di un edificio poiché ritiene che le leggi della fisica siano una costruzione sociale. Da parte dei difensori di Latour, vale a dire da parte dei critici dei paradigmi dell’establishment, si potrebbe rispondere argomentando che Latour sarebbe molto contento delle leggi della fisica e dei fatti ma vorrebbe solo sapere da dove vengono, come siano stati istituiti, il che implica una storia più complicata del racconto della scoperta.

Secondo Latour, i fatti hanno una carriera o storia, il che mette in evidenza la sua argomentazione a favore del pluralismo. Per rendere chiaro il pensiero di Latour al riguardo seguiamo un suo esempio. Un tempo era un dato di fatto che l’amianto fosse innocuo, stabile, ignifugo e resistente alle termiti. In breve l’amianto era un eccellente materiale da costruzione. Le nostre società avanzate e affidate alla scienza quale entità sostitutiva di Dio nell’istituzione della verità e della legittimità delle cose lo estraevano e lo resero parte del nostro mondo. Ma questi fatti ben presto entrarono in competizione con i fatti del mondo della clinica sul mesotelioma, un cancro risultato correlato all’esposizione all’amianto. Successivamente, le industrie produttrici di amianto sono state portate in tribunale dove sono state stabilite verità legali a beneficio delle vittime e l’amianto è stato espulso dal nostro mondo domestico. Questa pluralità di saperi istituzionali si batteva così per decidere il destino di un attore tutt’altro che passivo, l’amianto, e nessuno poteva permettersi di scartarne nessuno in anticipo.

Le scienze non scoprono ma costruiscono

Il primo libro di Latour, La Vie de laboratoire: la Production des faits scientifiques,[16] scritto nel 1979 in collaborazione con il sociologo britannico Steve Woolgar, è stato realizzato con l’intenzione di documentare la costruzione dei fatti scientifici in laboratorio. Latour aveva svolto un primo lavoro antropologico sulla Costa d’Avorio in Africa ma, stando a Muecke,[17] non aveva alcun interesse a perpetuare quel tipo di antropologia esotica per cui volse lo sguardo su quelli che avrebbe chiamato i moderni, vale a dire la tribù degli occidentali con un approccio strutturalista-istituzionale al loro mondo. Nell’ottobre 1975 fu accolto al Salk Institute for Biological Studies in California per condurre uno studio etnografico su come gli scienziati svolgevano i loro affari, nello specifico studiando una particolare tribù del mondo occidentale: i neuroendocrinologi del Salk Laboratory di La Jolla, in California. Il direttore, il virologo Jonas Salk,[18]era una specie di uomo rinascimentale e invitava all’istituto ogni sorta di pensatori, tra cui il linguista russo-americano Roman Jakobson e il filosofo francese Edgar Morin. Era la metà degli anni ’70 e la California, un contesto culturale pieno di sperimentalismo, era in piena modalità di avanguardia.

Per rendere un’idea del calibro delle considerazioni di Latour sulla produzione dei dati scientifici si pensi al fatto che Jonas Salk, il direttore dell’Institute for Biological Studies, era l’ideatore del primo vaccino antiinfluenzale utilizzato largamente tra le forze armate statunitensi negli anni ‘50 nonché l’ideatore del primo vaccino antipoliomielite.[19] Per di più, Latour svolse il suo studio etnografico su come gli scienziati svolgevano i loro affari proprio presso il laboratorio di Roger Guillemin,[20] neuroscienziato che in seguito condivise con Andrew Viktor Schally  il Nobel per la medicina del 1977 per gli studi sulla produzione di ormoni peptidici nel cervello. Jonas Salk aveva concesso a Guillemin 900 metri quadrati di spazio libero per allestire il proprio laboratorio. In breve, Latour svolse la sua ricerca sull’attività di configurazione dei fatti scientifici proprio all’interno di una prestigiosa istituzione dell’establishment scientifico.

Una volta che Latour arrivò nel laboratorio, stando alla ricostruzione degli eventi elaborata da Muecke,[21] iniziò il suo lavoro etnografico sul campo[22] cercando di descrivere le attività dei ricercatori lì. Gli etnografi fanno descrizioni empiriche dettagliate attraverso l’osservazione sul campo, ma potrebbero anche fare domande imbarazzanti, rivelando che ciò che i ricercatori potrebbero affermare essere scienza pura dipenderebbe da una serie di attività non scientifiche quali organismi di finanziamento, natura e origine della strumentazione, i pattern di citazioni nella letteratura ritenuta rilevante, fondazioni, media, collegialità, riviste internazionali, battaglie legali e così via. È stata l’innovazione di Latour e Woolgar a descrivere spassionatamente e in modo altrettanto meticoloso la rete di tutte queste contingenze ed effetti. Il loro libro risultante è proprio La Vie de laboratoire: la Production des faits scientifiques. La ricerca etnologica, condotta a quattro mani con il sociologo Steve Woolgar, mirava a ricostruire i protocolli di ricerca, le tecniche di misura, gli strumenti, i miti dei ricercatori, che si mescolavano agli oggetti studiati.

Vista dalla prospettiva descrittiva etnografica di Latour la ricerca al laboratorio di neuroendocrinologia di Guillemin al Salk poteva essere delineata nel seguente modo. Ogni mattina, i lavoratori entrano nel laboratorio portando i loro pranzi in sacchetti di carta marrone. I tecnici iniziano immediatamente a preparare i test, impostare i loro tavolini di lavoro e a pesare prodotti chimici. Raccolgono i dati dai contatori che hanno lavorato durante la notte. Le segretarie siedono alle macchine da scrivere e iniziano a correggere i manoscritti che sono inevitabilmente in ritardo rispetto alle scadenze di pubblicazione. Il personale, alcuni dei quali sono arrivati ​​in anticipo, entrano uno ad uno nell’area degli uffici e si scambiano brevemente informazioni su cosa fare durante la giornata. Dopo un po’ partono per i loro tavoli di lavoro. Gli assistenti e altri lavoratori consegnano spedizioni di animali, prodotti chimici freschi e pile di posta. Si dice che lo sforzo di lavoro totale sia guidato da un campo invisibile, o più in particolare da un enigma la cui natura è già stata decisa e che può essere risolta oggi.[23]

In altri termini, l’osservatore, nello specifico Latour, si trova nel mezzo di una rete in cui i fatti scientifici vengono accuratamente indotti all’esistenza, verificati attraverso la ripetizione e la revisione tra pari [peer review] e, infine, pubblicati. Ma l’apparente solidità dei fatti dipende dal continuo supporto delle reti sociali sia nel laboratorio che tra gli altri organismi professionali al di fuori di esso.

Latour, sebbene visto come uno che bucherebbe i fatti, presumibilmente indebolendo la verità scientifica, avrebbe, stando a Muecke,[24] difeso le scienze con un piccolo qualificatore, asserendo che la verità strumentale deve essere ben costruita e non solo costruita. Rivendicare semplicemente l’obiettività e nel processo mettere tra parentesi tutta la soggettività, stando a Latour, non farebbe parte di una descrizione realistica di ciò che accadrebbe quando la scienza fa un buon lavoro e stabilisce una verità strumentale. Proprio come ogni ramo della scienza raramente risolverebbe i problemi da solo, la fisica potrebbe aver bisogno dell’algebra, la sociologia potrebbe aver bisogno di un po’ di geografia o statistica. Una descrizione realistica, nella visione di Latour, dovrebbe comprendere una gamma eterogenea di attori. Questa era la base del suo pluralismo e in seguito avrebbe sviluppato questa visione dell’eterogeneità in un sistema basato su ontologie multiple, ponendo un serio problema epistemologico ai filosofi e ricercatori che riconoscono solo due lati della realtà, l’oggettivo e il soggettivo, cioè ponendo un problema serio alla modernità.

Tutto è un work in progress, un’alleanza negoziabile di cose che costruiscono verità fragili

Dopo l’affondo di Latour al paradigma cognitivo ed epistemologico della modernità, si potrebbe asserire in modo icastico che i filosofi non potrebbero più picchiare sui tavoli o indicare bicchieri d’acqua quando vogliono evocare il reale. Latour ci ha portato a realizzare che non ci sarebbero realtà primarie più solide seguite da effetti secondari come sentimenti o significati sottili. Tutto invece sarebbe reale, e Latour vi si accosta con un atteggiamento rigorosamente empirico e sperimentale. Ciò significa, in termini di una teoria della conoscenza, che tutto è un work in progress, un’alleanza negoziabile di cose. Per rendere la fragilità di una tale esperienza della realtà negoziata, o meglio, pattuita e istituita, si potrebbe dire che una cerimonia religiosa potrebbe raggiungere la realtà desiderata, come modalità di esistenza religiosa, attraverso l’alleanza di una congregazione, un rappresentante di una divinità, parole ritenute sacre, manufatti e icone, musica, l’odore dell’incenso. È un work in progress in cui lo sforzo in corso rende qualcosa di esperibile, la sua realtà non potrebbe essere anticipata o riassunta, il che la ridurrebbe a dogma. E la sua descrizione dovrebbe essere più simile a una bella interpretazione di Amleto che a un riassunto di due pagine della sua trama per i ragazzi dell’oratorio.

Che dire di un esempio più difficile, come quello di coloro che continuano a credere che la Terra sia piatta. Una visione di alleanze negoziabili delle cose, come misura della realtà costruita, non significa che la Terra diventerebbe davvero piatta se la rete di terrapiattisti fosse abbastanza forte. È solo che i terrapiattisti avrebbero scoperto di poter abitare in un mondo in cui possono continuare a pensare, e a dire pubblicamente, che la Terra è piatta. Possono fare affidamento su questa falsa verità senza che il loro mondo crolli. Questa sembra essere una sfida insidiosa al pluralismo di Latour che ci costringe a chiederci se ci sia un rischio nel liberare le persone dall’idea che ci sia un solo mondo oggettivo. In una tale prospettiva, si potrebbe arrivare a suggerire che esista un pericolo reale nel modo in cui le compagnie del tabacco, i conglomerati petrolchimici e altri, quelle corporazioni che Naomi Oreskes ed Erik Conway nel 2010 hanno soprannominato mercanti del dubbio,[25] minerebbero la scienza, una volta liberata dall’idea di verità oggettiva unica, per difendere il loro accumulo di ricchezza. Con i loro scienziati ben pagati e le campagne di pubbliche relazioni, creano, infatti, le proprie realtà alternative. Quindi, non è difficile chiedersi se siamo ora in un’era post-verità. Latour ha riconosciuto i pericoli della nostra era post-verità e avrebbe risposto, nel suo saggio Essere di questa terra. Guerra e pace al tempo dei conflitti ecologici, nel suo modo coraggioso caratteristico, che i nostri attuali problemi ecologici non saranno risolti trattando il clima come un fenomeno oggettivo, ma concentrandosi invece sui modi in cui i cambiamenti climatici sono legati al passo con la politica e gli interessi delle grandi imprese.[26]

Quando il New York Times pubblicò un profilo su Latour, alquanto deridente, nell’ottobre 2018 sotto il titolo di Bruno Latour, the Post-Truth Philosopher, Mounts a Defence of Science [Bruno Latour, il filosofo della post-verità, monta una difesa della scienza],[27] Latour era naturalmente deluso dal fatto di essere stato citato come il filosofo della post-verità. Chi conosce il suo pensiero può suggerire che Latour avrebbe preferito essere visto come un filosofo che abbracciava molte verità, nessuna delle quali poteva essere universale. Ma sicuramente Latour disturbava l’establishment culturale. L’osservazione scomoda di Latour sarebbe stata piuttosto la sua asserzione sostenendo che non fosse vero che le verità dell’illuminismo europeo si stavano accumulando una ad una e il resto del mondo ne fosse per sempre grato. Stando a ciò che avrebbe detto Latour agli europei piace, senz’altro, pensarla così ma non certo a coloro che erano stati colonizzati. In effetti, Latour sosteneva che questa forma di modernità colonialista doveva essere richiamata come un prodotto difettoso. Richiamata e riavviata, aggiungeva, attraverso nuovi negoziati diplomatici con altre culture che potevano non aver bisogno di questo tipo di modernizzazione e stavano ripensando la sua importanza poiché la nostra era sarebbe assediata da crisi comuni.

Al momento, come si evince dai fatti della situazione geopolitica attuale, i blocchi non allineati con l’Occidente egemone sentono l’agire del clima e percepiscono i pericoli insiti nel discorso dominante dell’economia alleata che vorrebbe che il concetto di Wall Street verde fosse recepito come una soluzione per il cambiamento climatico che colpisce, per fare un esempio, perfino il Bangladesh. Paradossalmente, trovare soluzioni a una crisi comune, come quella climatica, richiede una pluralità di conoscenze, sosteneva Latour. Le soluzioni a problemi come questi devono provenire da tutti i fronti. E in questo processo, avvertiva Latour, il riduzionismo non avrebbe aiutato.[28]

Riguardo il riduzionismo Latour sosteneva che esso equivaleva ad arroganza epistemica.[29] Ma per meglio capire ciò che lui intendeva per riduzionismo si pensi che Latour segnalava che tale arroganza riduzionista si palesava, ad esempio, quando un fisico rideva di qualcuno che non era immediatamente consapevole che tutto fosse fatto di atomioppure quando uno psicologo sociale riduceva il credo religioso a comportamento umano, dopo aver fatto un rapido studio della messa cattolica. Per quanto riguarda l’arroganza epistemica, Latour avrebbe voluto livellare il campo di gioco e per ciò avrebbe deciso di fare spazio e permettere alle cose di cui avrebbe parlato di avere lo spazio di cui avevano bisogno per stare al proprio posto. Al riguardo, Muecke[30] suggerisce che come atteggiamento per arginare l’arroganza epistemica Latour si ripetesse una sorta di mantra, vale a dire ripetesse nulla si può ridurre ad altro, nulla si può dedurre da nient’altro, di conseguenza, tutto può essere alleato a tutto il resto … e così, sotto questo richiamo, per la prima volta nella sua vita, avrebbe visto cose non ridotte e liberate, come testimonia nel suo saggio Les Microbes: guerre et paix, suivi de Irréductions ,[31] nel quale spiega come sia possibile non distinguere tra ragione e forza come una modalità di evitare il riduzionismo.

Evitare il riduzionismo è comunque una posizione epistemica nonché ideologica, nel senso di una visione del mondo e di un corpus di valori riguardo alla realtà che ne emerge. Effettivamente, e sistemicamente, le nostre società applicano il riduzionismo come pratica di default. In effetti, nell’idea di verità su cui si fonda la coesione sociale e l’esercizio del potere, riduzionismo e supporto sociale vanno di pari passo. Ad esempio, per i fondamentalisti religiosi tutto può essere il risultato di una sola cosa: la volontà di Dio. In effetti, quando la Chiesa avrebbe voluto occultare la plausibilità dell’idea che la Terra ruotasse attorno al Sole, ha dovuto costruire una solida rete di supporto laico. In effetti, le verità non sono sempre solide e cumulative, possono essere fragili e necessitano di una manutenzione costante. Uno dei luoghi in cui queste fragili verità vengono mantenute sarebbe proprio il laboratorio dello scienziatocon le relative reti di conoscenza. Infatti, sarebbe proprio in laboratorio che sarebbe iniziata l’ambizione di Latour di scrivere un’antropologia dei moderni. Ciò che lui e i suoi collaboratori avrebbero prodotto al Salk Institute negli anni ’70 non sarebbe stato altro che un modello di un’antropologia della società occidentale, qualcosa che gli antropologi avevano spesso invocato.[32]

Tale antropologia richiedeva, in effetti, un nuovo metodo per scrivere descrizioni di relazioni non-riduzionistiche. Al riguardo, Latour propose la teoria della rete di attori, un modo radicale, persino rivoluzionario, di vedere il mondo che riconosceva le capacità di agire [agency][33] di tutto ciò che non fosse umano: oggetti, macchine, animali, piante e persino la Terra stessa. Una descrizione riduzionistica cosiddetta scientifica e obiettiva non sarebbe epistemicamente sufficiente se un etnografo sperasse di descrivere cosa succede quando uno “scienziato” fa unascoperta”. Stando a Latour, nel momento in cui in laboratorio un ricercatore presume di aver fatto una scoperta, quello che starebbe effettivamente succedendo sarebbe, in realtà, un ibrido disordinato di capacità autonome di azione. Volendo si potrebbe dire che si tratterebbe di una transazione tra una pluralità di ontologie.[34] E Latour avrebbe dovuto sviluppare uno stile di scrittura per far emergere le loro esistenze precarie.

Si consideri, ad esempio, la scoperta della penicillina nel 1928, quando Alexander Fleming tornando dalle vacanze trova una piastra di Petri[35] ricoperta da una muffa che inibiva la crescita dei batteri. Seguendo la teoria di Latour, Fleming sarebbe l’attante più importante in tal momento oppure la muffa? O invece la relazione di entrambi? Al riguardo Latour, nel suo saggio su Pasteur, cercando di chiarire con esempi la questione degli eventi definiti nei termini delle loro relazioni, si chiede se, quando abbozza la storia di Pasteur relativa al lievito come microrganismo responsabile nella fermentazione alcolica, si dovrebbe esprimere nei termini di Pasteur e il suo lievito o se dovrebbe, ugualmente, considerare di esprimersi nei termini della storia del lievito e del suo Pasteur.[36] Contro una lunga tradizione che considera la capacità di agire solo se il soggetto abbia intenzioni umane, Latour era semplicemente agnostico su quale capacità di agire potesse apparire in una data situazione in quanto risulta evidente a tutti che gli umani non sono gli unici che possono cambiare il corso della storia. Questa era una proposta radicale. Latour stava effettivamente includendo i non-umani nella società, rivoluzionando ciò che potremmo intendere con quel concetto di seno comune, logoro e riduttivo. Considerando la scienza in questo modo, Latour stava suggerendo che la conoscenza fosse una coproduzione. Nella proposta di Latour, i cosiddetti scienziati non erano gli unici coinvolti nella creazione di verità fragili.

Quando il dibattito epistemico divampava circa lo statuto della scienza negli anni ’90, Latour fu messo dalla parte di alcuni teorici sociali che postulavano che la scienza fosse semplicemente costruita. Questi commentatori potrebbero aver pensato che le idee anti-riduzioniste di Latour di una società allargata agli attanti non umani e le sue verità plurali e fragili abbracciassero un facile relativismo che postulerebbe che un modo di conoscere fosse valido quanto un altro. I difensori della cosiddetta scienza pura temevano che la loro presa sull’obiettività fosse minacciata e che le scienze razionali potessero, quindi, essere messe sullo stesso piano di una religione o di una cosmologia indigena. Latour fedele al suo principio non-riduzionista, sosteneva piuttosto che fosse necessario costruire qualsiasi ontologia sullo stesso piano e che le basi per ogni modo di essere nel mondo, ogni ontologia, dovevano essere descritte secondo le sue capacità uniche.[37]

In breve, per ridurre l’impatto del riduzionismo cognitivo e culturale nell’artefatto umano chiamato scienza, Latour propone un approccio descrittivo di carattere etnografico, come quello della sua teoria della rete degli attori. Tale approccio costituirebbe un modo di includere una larga pluralità di voci e, indubbiamente di interessi, nella costruzione della conoscenza ufficiale, conoscenza che viene utilizzata come canone di legittimazione dagli attori umani che gestiscono le popolazioni umane e, in un certo modo, di tutto il biota del pianeta. Tali descrizioni di reti renderebbero una conoscenza in termini di processi in corso, di relazioni presumibilmente tanto reali quanto le cose, anziché in termini di strutture solide e oggettive. Il tutto basato su descrizioni esperienziali. Come nel caso dell’amianto,[38]materiale meglio descritto pluralisticamente dopo decenni di utilizzo generalizzato nell’abbigliamento, nell’arredamento e nell’edilizia. Quando è stato ridefinito come pericoloso, è diventato una cosa diversa. Ma non fu mai una sola sostanza omogenea, l’amianto è sempre stato un complesso di attributi e allegati.[39]

La sensibilità di Latour ci ha portato a vedere attori o attanti, come l’amianto, non solo in termini di un materiale ma addirittura come un attore politico, insistendo che l’amianto fosse coinvolto in un’ecologia politica anziché considerare l’ecologia come una questione di relazioni tra organismi vegetali e animali con gli umani. Alla fine degli anni ’90, Latour ci confrontava con la natura politica di queste reti di relazioni suggerendo, sardonicamente, che i non-umani dovrebbero poter votare.[40] Ironicamente, provocava l’opinione pubblica annunciando che avrebbe combattuto per portare i non-umani nella società democratica degli umani, nello stesso modo in cui le donne una volta dovevano lottare per entrare nella società degli uomini. Argomentava che se si dovesse costruire una diga, allora i salmoni che migrano a monte avrebbero dovuto essere consultati come voce in capitolo, richiedendoci di riconoscere che la loro ontologia e in diritti che ne derivano sarebbero ben espressi attraverso descrizioni dettagliate presentate da scienziati specializzati.[41]

Come esasperazione espressiva del suo punto di vista sulla democrazia nelle scienze Latour segnala che al culmine della modernizzazione, durante la metà del XX secolo, furono ancora costruite dighe senza prendere in considerazione gli esseri colpiti, come il salmone. E tutto questo, stando a lui, perché il concetto di società anziché includente è escludente dei non-umani. Ora, a quanto pare, nella sensibilità di Latour, c’è una “logica” convincente nel modo in cui i salmoni “pensano” ai flussi del fiume. Da questo punto di vista quasi rocambolesco, il concetto precedentemente fondamentale di società, così parte integrante di tutte le nostre istituzioni, comincia a perdere il suo potere descrittivo o analitico. La società non è solo oggettivamente là fuori e non è composta solo da persone. Dopo Latour, la società è una rete di associazioni da comporre, da negoziare tra esseri che parlano lingue diverse.[42]

Latour aveva sempre voluto capire come funzionavano tali reti, in particolare nelle cosiddette società occidentali come la nostra. In questo senso, condusse studi dettagliati di istituzioni chiave come il laboratorio di ricerca biomedica in Les microbis: guerre et paix, suivi de Irréductions (1984), utilizzando come paradigma il laboratorio di Pasteur,[43] come il diritto, utilizzando il massimo tribunale amministrativo francese in La fabrique du droit. Une ethnographie du Conseil d’État (2002)[44], tradotto in italiano nel 2007 sotto il titolo “La fabbrica del diritto. Etnografia del Consiglio di Stato”, come la religione in Jubiler ou les hardés de l’énonciation religieuse (2002)[45], e come il trasporto urbano in Aramis ou l’amour des Techniques(1992).[46]

Le ecologie politiche descritte da Latour negli anni ’90 hanno assunto proporzioni planetarie

Il lavoro di Latour, visto senza estremi pregiudizi, ha assunto una nuova urgenza man mano che l’ombra della situazione climatica si allarga. All’inizio del XXI secolo, Latour si è spostato dai confini del laboratorio al pianeta stesso. La questione della verità non sarebbe più quella delle fragili reti tra piccoli gruppi di ricercatori e i loro strumenti e finanziatori, ma riguarderebbe vasti assemblaggi e modi di essere. Le ecologie politiche da lui descritte negli anni ’90 hanno assunto proporzioni planetarie. In Enquête sur les modes d’existence: Une anthropologie des Modernes(2012),[47] Latour si occupa di 15 diverse modalità di esistenza, o ontologie, tra cui quella politica, quell’economica, quella referenziale (cioè scientifica), quella riproduttiva (cioè vivente), quella tecnologica, quell’immaginaria, quella legale, quella morale e altro ancora. Ognuna sarebbe ugualmente reale, ognuna avrebbe le sue condizioni ottime che le consentono di procedere attraverso il mondo a modo suo. Nella visione di Latour, una non può essere ridotta a un’altra, né dominare un’altra, senza impoverire questo tipo di mondo. Latour si fa beffe dei filosofi che non avrebbero nemmeno bisogno di poter contare il numero di possibili modi di stare al mondo.

Il pluralismo di Latour, di conseguenza, sarebbe ben attrezzato per affrontare la questione della crisi ambientale, situazione che avrebbe il potenziale per inaugurare una nuova civiltà se rispondiamo in modo adeguato. Nelle crisi comprese nelle ecologie politiche descritte da Latour, tutte le nostre istituzioni, i nostri modi di conoscere, sarebbero soggetti a cambiamenti radicali. Nei primi tempi moderni, le questioni ambientali, includendo il clima erano tutte esterne agli affari umani. L’ambiente era una questione tutta naturale, soggetto alle leggi strettamente oggettive della natura, almeno quelle che potevano essere fissate. Ma quando usciamo dalle comprensioni moderne di come è costituito il nostro mondo ed entriamo nel cosiddetto Antropocene tutto cambia in modi che la filosofia pluralista e anti-riduzionista di Latour ci aiuta a capire più chiaramente. Non solo il sole e altre dimensioni dell’universo inciderebbero nella questione ambientale ma anche noi umani causiamo cambiamenti ambientali.

Un tempo il clima era lasciato alla competenza dei climatologi e di altri scienziati, ma l’Antropocene e il nuovo regime climatico significano che ora agisce in tutti i modi di esistenza di Latour. Il clima è stato il principale attore politico negli ultimi tre decenni e i politici ne ignorano gli effetti sul voto a loro rischio e pericolo. Come ha scritto Latour in Où atterrir – comment s’orienter en politique (2017),[48] ‘non possiamo capire nulla della politica degli ultimi 50 anni se non poniamo la questione del disastro ambientale in una posizione centrale. La crisi ambientale sta facendo la storia in modi che ridefiniranno la storia umana e non-umana. Pagare per i danni ambientali sta diventando sempre più la principale preoccupazione degli economisti, ma sono stati lenti a fare quei calcoli perché, per loro, i cambiamenti ambientali negativi erano sempre un’esternalità. Per Latour, l’ambiente, compreso il clima, in quanto intreccio di fattori umani e non-umani, ha effetti plurali pervasivi, del tipo che richiede un empirismo radicale che incorpori le scienze e le discipline umanistiche.

Latour ci ha mostrato la necessità di includere nell’idea di società gli attori non-umani, rispettando il loro diritto ad esistere e ad agire alle proprie condizioni. Questo riorientamento radicale è la sua eredità. La crisi dei rifiuti della società di consumo e la devastazione degli ecosistemi per via dell’azione di gruppi di interessi, diventerebbero per Latour un’opportunità per un reset di un nuovo tipo di civiltà nella quale si metta da parte la maestria umana e si imparino i linguaggi dei fiumi, delle correnti marine, del gas, dei babbuini, dei virus e così via, perché questi sarebbero i molti mormorii della Terra stessa, sempre più forti.

La feconda intuizione che soggiace a tutta l’opera di Latour e per la quale ho voluto ricordarlo pertinentemente in BIO, si potrebbe riassumere così: l’immagine che si ha della scienza differisce radicalmente a seconda che la si osservi in azione, nel suo farsi, oppure nel momento in cui essa si presenta pronta per l’uso, ovvero come una scatola nera che può essere utilizzata senza che se ne conoscano storia o contenuto, come lui sostiene in La scienza in azione: Introduzione alla sociologia della scienza.[49] I ricercatori cosiddetti scienziati, le fondazioni attorno loro e le istituzioni preposte come interfacce mediatiche tendono a presentare ex post il proprio lavoro come un percorso lineare di scoperta della natura. Ad osservarli in laboratorio, tuttavia, li si trova alle prese, con i numerosissimi passaggi di traduzioni soggettive necessarie per trasformare un evento sperimentale nel tassello di una conoscenza cumulabile.

Sarebbe difficile parlare ragionevolmente di salute senza fare luce sulla necessità di questionare il divario che astutamente separa la scienza, incaricata di comprendere direttamente e oggettivamente la natura, e la politica che ha il preciso compito di regolare la vita sociale e, di conseguenza, vita, salute e morte delle popolazioni umane e non solo. Ciò significa che c’è una necessità urgente di ridefinire il ruolo dell’attività scientifica e di quella politica perché la questione della democrazia riguarda in prima istanza oggi anche le scienze, diventate discorso assolutista del biopotere.

Sebbene la conoscenza scientifica corrisponda solo a uno dei tanti possibili modi di esistenza descritti da Latour, una visione irrealistica della scienza è diventata l’arbitro della realtà e della verità, inducendoci a giudicare tutti i valori secondo un unico standard. Latour ci implora di recuperare altri modi di esistere per rendere giustizia alla pluralità di condizioni di verità che i Moderni stessi hanno individuato nel corso della loro storia. Questo sforzo sistematico di costruire una nuova antropologia filosofica presenta una visione completamente diversa di ciò che sono stati i Moderni e fornisce una nuova base per aprire incontri diplomatici con altre geopolitiche in un momento in cui tutte le civiltà stanno affrontando crisi ecologiche.

______________Note _________________

[1] La teoria della rete di attori o attanti è un modello teorico sviluppato da alcuni sociologi francesi, tra cui Bruno Latour e Michel Callon e dall’antropologo britannico John Law per descrivere lo sviluppo di fatti scientifici e oggetti tecnologici. La teoria afferma che ogni idea scientifica, manufatto tecnico o, più banalmente, ogni fatto sociale, risulta prodotto di un’intricata rete di relazioni in cui interagiscono attori sociali umani e non-umani genericamente riferiti come attanti nella teoria. In questa rete giocherebbero un ruolo importante sia la distribuzione del potere che le rappresentazioni segniche delle idee o degli oggetti presi in considerazione. Uno dei capisaldi di questa teoria è rappresentato dal principio di simmetria generale. Secondo questo principio si deve utilizzare un unico vocabolario per trattare sia gli attori umani che degli oggetti materiali. Entrambi, riprendendo una terminologia semiotica, sono definiti come attanti.

[2] Stephen Muecke. The generous philosopher. In AEON, 28 October 2022 / Muecke è professore di etnografia alla Notre Dame University, Broome, Western Australia e all’ University of New South Wales, Australia

[3] Stephen Muecke. Latour and the Humanities. Johns Hopkins University Press, 2020

[4] Ibidem

[5] Ibidem

[6] Stephen Muecke, op. cit. 2022

[7] Ibidem

[8] Ibidem

[9] Stephen Muecke, op. cit. 2020

[10] Colin Koopman. The power thinker. In AEON, 15 March 2017

[11] Edward Thornton. Two’s a crowd. In AEON, 1 March 2018

[12] Bruno Latour. Non siamo mai stati moderni. Elèuthera, 2009 Embrioni congelati, fiumi inquinati, virus dell’AIDS, buco dell’ozono. Latour si chiede se questi strani oggetti appartengono alla natura o alla cultura. Nella postmodernità, la tradizionale divisione dei compiti tra scienze naturali e discipline sociali diventa sempre meno capace di rendere conto della proliferazione degli ibridi. In realtà i moderni non avrebbero mai smesso di creare oggetti ibridi, che attingono all’uno o all’altro ambito contemporaneamente, e si rifiutano di prenderli in considerazione in quanto tali, cioè in quanto ibridi natural-culturali.

[13] Bruno Latour, op. cit. 2009

[14] La teoria actor-network (in italiano “Teoria della rete di attori”) è un modello teorico sviluppato da alcuni sociologi francesi, tra cui Bruno Latour e Michel Callon e dall’antropologo britannico John Law per descrivere lo sviluppo di fatti scientifici e oggetti tecnologici. La teoria si presenta come un modello costruttivista, ma non socio-costruttivista, per spiegare la realtà sociale. Distaccandosi in modo radicale da qualsiasi tendenza essenzialista della natura e della società, afferma che ogni idea scientifica, manufatto tecnico o più banalmente ogni fatto sociale, risulta prodotto di un’intricata rete di relazioni in cui interagiscono attori sociali umani e non-umani (genericamente riferiti come attanti). In questa rete giocano un ruolo importante sia la distribuzione del potere che le rappresentazioni segniche delle idee o degli oggetti presi in considerazione. Uno dei capisaldi di questa teoria è rappresentato dal “principio di simmetria generale”. Secondo questo principio, si deve utilizzare un unico vocabolario per trattare sia gli attori umani che degli oggetti materiali. Entrambi, riprendendo una terminologia semiotica, sono definiti come attanti.

[15] Per una sintesi sulla questione: Vargas, R. O. D’Alterio E. La medicina nella cultura postmoderna. Mimesis, Milano, 2013

[16] Bruno Latour et Steve Woolgar. La Vie de laboratoire: la Production des faits scientifiques. La Découverte, Paris, 1979

[17] Stephen Muecke, op. cit. 2020

[18] Jonas Edward Salk è stato un virologo, batteriologo e ricercatore statunitense, ideatore del primo vaccino antipoliomielite. Fino al 1955, anno dell’introduzione del suo vaccino, la poliomielite era considerata il problema più spaventoso in materia di salute pubblica negli Stati Uniti d’America del dopoguerra.

[19] D. Bookchin, J. Schumacher. The Virus and the Vaccine. Macmillan, 2004

[20] Roger Guillemin è un medico e neurologo premio Nobel per la medicina nel 1977, insieme a Andrew Viktor Schally, per le scoperte sulla produzione degli ormoni proteici dell’encefalo. Nel 1973 sequenziò per la prima volta la somatostatina individuata nel 1968 da Krulich et al.

[21] Stephen Muecke, op. cit. 2022

[22] Tradizionalmente, fondamentale per la ricerca etnografica veniva considerato l’incontro con l'”altro”, in un’esperienza di “campo” nella quale l’etnografo doveva oltrepassare un confine più o meno immaginario ed entrare in contatto con la realtà socio-culturale che intendeva descrivere. Infatti, la ricerca etnografica è un metodo delle scienze sociali quali antropologia e l’etnografica basata sul concetto di campo e sulla permanenza prolungata. Fare etnografia significa recarsi tra coloro che si vuole studiare per un certo periodo di tempo, ed utilizzare alcune tecniche di ricerca (come l’osservazione o l’intervista) allo scopo di collezionare un insieme di dati che una volta interpretati, rendano possibile la comprensione della cultura in esame. Riti, rituali, cerimonie, norme, valori, credenze, comportamenti, artefatti, sono i principali fenomeni di interesse dell’etnografo, attraverso i quali la cultura si rende intelligibile.

[23] Bruno Latour et Steve Woolgar. op. cit. 1979

[24] Stephen Muecke, op. cit. 2020

[25] Naomi Oreskes, Erik Conway. Merchants of Doubt: How a handful of scientists obscured the truth on issues from tobacco smoke to global warming. Bloomsbury Publishing USA, 2010

[26] Bruno Latour. Essere di questa terra. Guerra e pace al tempo dei conflitti ecologici. Rosenberg & Sellier. 2019

[27] Ava Kofman. Bruno Latour, the Post-Truth Philosopher, Mounts a Defence of Science. The New York Times. Oct. 25, 2018

[28] Bruno Latour. op. cit. 2019

[29] In epistemologia il termine riduzionismo rispetto a qualsiasi scienza sostiene che gli enti, le metodologie o i concetti di tale scienza debbano essere ridotti al minimo sufficiente a spiegare i fatti della teoria in questione. In questo senso il riduzionismo può essere inteso come un’applicazione del cosiddetto “rasoio di Occam” (o “principio di economia”), secondo cui non bisogna aumentare senza necessità le entità coinvolte nella spiegazione di un fenomeno.

[30] Stephen Muecke, op. cit. 2020

[31] Bruno Latour. Les Microbes: guerre et paix, suivi de Irréductions. LaDécouverte, 1984

[32] Stephen Muecke, op. cit. 2020

[33] Agency. In ambito delle discipline come la sociologia e l’antropologia, il concetto di agency è definito come la capacità degli individui di agire autonomamente in situazioni specifiche e di prendere decisioni proprie. Al contrario, le strutture (la società, la posizione sociale in cui si nasce) sono fattori che possono limitare gli attori nella loro capacità di agire. Viene anche utilizzato con il significato di reattività, capacità di reagire (o di reazione). In altre parole, si tratta della capacità di un individuo di agire in modo libero in un determinato contesto, ad esempio, la capacità di agire sulla realtà, cambiandola, contrapposta all’impotenza di agire o alla “non azione”. Più largamente, in filosofia, con agency si intende la capacità di un agente (persona fisica o altro soggetto, umano o qualsiasi essere vivente in generale) di agire nel mondo in modo indipendente, e di fare delle scelte libere. Tale capacità di agire non implica una specifica dimensione morale legata alla capacità di compiere la scelta di agire. In sociologia un agente è una persona coinvolta nella struttura sociale e a tal proposito si dibatte sul primato della struttura sociale vs. la capacità individuale di scelta, per quanto riguarda le azioni da compiere. L’agency può essere classificata come un comportamento inconscio e involontario, sia come un’attività intenzionale o azione deliberata, diretta a un obiettivo. Un agente ha in genere una sorta di consapevolezza immediata della sua attività fisica e degli obiettivi che quell’attività si propone di realizzare. Nell’azione diretta a un obiettivo, in particolare, l’agente implementa un controllo diretto o di orientamento e guida sul proprio comportamento.  Nella teoria integrale, in particolare in Kenneth Wilber (2000, 2010), l’agency rappresenta la spinta orizzontale all’autoconservazione, all’autonomia e all’integrità, la spinta a essere un tutto e non una parte. Il suo opposto complementare è la comunione, mentre sue espressioni patologiche sono l’alienazione, la repressione, l’autonomia rigida e la cosiddetta iper-agency. Duranti (2004, p. 453) fornisce una definizione operativa di agency che include tre proprietà fondamentali: 1) il controllo sul proprio comportamento, 2) la produzione di azioni che interessano altre entità, oltre colui che le ha personalmente messe in atto, 3) la produzione di azioni che costituiscono l’oggetto della valutazione.

[34] Collocandoci nella prospettiva della teoria della conoscenza si potrebbe postulare che il concetto di ontologia fa riferimento a quanto non sia stato creato né modificato dall’uomo, cioè gli “enti” che costituirebbero il fondamento di ogni sistema oggettivistico, come lo sono le scienze. Il problema è che proprio nello stabilire i criteri di esistenza di tali entità subentra inevitabilmente l’interpretazione umana con tutte le mediazioni cognitive e culturali che la determinano. Perciò Latour pone il problema della narrativa che le descriverebbero.

[35] La piastra o capsula di Petri è un recipiente piatto di vetro o plastica, solitamente di forma cilindrica; è un importante strumento di lavoro in molti campi della biologia, per la crescita di colture cellulari e perché permette di osservare a occhio nudo colonie batteriche.

[36] Bruno Latour. Les Microbes: guerre et paix, suivi de Irréductions. La Découverte, 1984

[37] Stephen Muecke, op. cit. 2020

[38] La definizione “ontologica” dell’amianto o asbesto ritiene che sia un insieme di minerali del gruppo degli inosilicati (serie degli anfiboli) e del gruppo dei fillosilicati (serie del serpentino) di consistenza fibrosa. Questa definizione oggettivista e riduzionista è stata successivamente modulata aggiungendo che l’amianto sia un materiale molto comune in natura. Stando a Wikipedia, fonte del pensiero mainstream, la sua resistenza al calore e la sua struttura fibrosa ne avevano reso comune l’uso come materiale per indumenti e tessuti da arredamento a prova di fuoco, ma la sua ormai accertata nocività per la salute avrebbe portato a vietarne l’uso in molti paesi. Infatti, la stessa fonte aggiunge che se respirate, le polveri contenenti fibre d’amianto possono causare gravi patologie, l’asbestosi per importanti esposizioni, tumori della pleura, ovvero il mesotelioma pleurico, e il carcinoma polmonare.

[39] Bruno Latour. Politiques de la nature. Comment faire entrer les sciences en démocratie, Paris, La Découverte, 1999. / Politiche della natura. Per una democrazia delle scienze, Milano, Raffaello Cortina, 20

[40] Ibidem

[41] Politiche della natura. Per una democrazia delle scienze, Milano, Raffaello Cortina, 20

[42] Ibidem

[43] Bruno Latour. Les Microbes: guerre et paix, suivi de Irréductions. Métailié, Paris 1984

[44] Bruno Latour. La Fabrique du droit. Une ethnographie du Conseil d’État. La Découverte, Paris, 2002. In italiano: La fabbrica del diritto. Etnografia del Consiglio di Stato, Troina, Città Aperta, 2007

[45] Bruno Latour. Jubiler ou Les tourments de la parole religieuse. Les Empêcheurs de penser en rond, Le Seuil, Paris, 2002.

[46] Bruno Latour. Aramis ou L’amour des techniques, « Textes à l’appui. Anthropologie des sciences et des techniques », La Découverte, Paris, 1992

[47] Bruno Latour. Enquêtes sur les modes d’existence. Une anthropologie des modernes. La Découverte, Paris, 2012

[48] Bruno Latour. Où atterrir – comment s’orienter en politique. La Découverte, Paris, 2017

[49] La scienza in azione. Introduzione alla sociologia della scienza, Ivrea, Edizioni di Comunità, 1998.