“Tu hai un metodo filosofico, io un metodo scientifico “
Devo ammetterlo: la frase, detta così, all’inizio mi ha fatto imbestialire. Che vuol dire? Che io disserto invece di applicare un metodo scientifico, nel mio fare diagnosi e terapia?
Poi però mi son fermata e ci ho pensato. Non so quale fosse la finalità di quella affermazione però… però, in fondo, è non vera: verissima. Quando visito un paziente, prima di dargli una terapia, parlo con lui. Insieme facciamo dissertazioni per poter comprendere quale sia il motore della malattia. Cosa abbia modificato l’equilibrio di quella persona al punto da farla ammalare. Insieme lavoriamo ponendoci domande e cercando di scoprire, conoscere, mettere in evidenza qualcosa di sconosciuto. Perché la malattia insorge proprio quando la nostra ombra è così nascosta da guidarci in modi disfunzionali. Né il medico né il paziente conoscono quell’ombra, sanno cosa nasconda, quanto sia grande ma anche quanto sia condivisa all’interno della propria famiglia. Perché la luce che proiettiamo fuori è talmente grande da impedire al paziente di vedere per bene se stesso.
Il medico, per prima cosa, deve aiutare il paziente ad abbassare la luce che quel faro proietta all’esterno per permettergli, finalmente, di guardare se stesso.
Il processo di guarigione non è scientifico, almeno tenendo conto dei parametri della “scienza moderna”. È un viaggio nella propria storia, sia personale che familiare. È un viaggio alla scoperta di sé stessi, dei propri automatismi sconosciuti, di quei programmi che, in modo a noi non ancora noto, continuano a girare ed a guidarci, facendoci assumere comportamenti ripetitivi ed automatici.
Programmi che, proprio perché non conosciuti, continuano a d essere attivati indipendenti da noi stessi.
Sono meccanismi automatici che ci portano a fare sempre gli stessi errori, a scegliere sempre le persone sbagliate, a darci la sensazione di non poter cambiare. O, a volte, l’illusione di essere liberi quando in realtà non lo siamo.
La guarigione è un processo di graduale conoscenza di noi stessi, che avviene ponendoci domande, eliminando certezze e convinzioni assolute, nutrendoci di dubbi.
È desiderio di conoscenza di noi stessi nel mondo. Tutto parte dal porsi domande per spiegare qualcosa che non capiamo. Perché questo dolore? Perché mi brucia lo stomaco? Perché mi sveglio di soprassalto?
Il paziente va dal medico quando ha qualcosa che “non va”, “che non funziona” e che lo spaventa.
L’essere umano ha sempre fatto progressi e scoperte partendo da un dubbio o da una paura: mai da una certezza. Se avessimo avuto solo certezze, come pretende di fare la “scienza moderna” che ha creato protocolli in assenza, di fatto, di malattia, oggi non avremmo neanche la ruota.
Non è un caso che, in passato, la medicina in realtà non esistesse come tale ma fosse appannaggio dei filosofi, ossia di “chi professa la filosofia, di chi si dedica abitualmente allo studio dei problemi che formano oggetto dell’attività speculativa nei suoi vari aspetti o in alcuni dei suoi aspetti particolari” (definizione della “Treccani”).
Per cui, pensandoci, ti dico: grazie. Perché è dannatamente vero che faccio il medico seguendo il metodo filosofico. Proprio come Ippocrate.
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