BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno X • Numero 37 • Marzo 2021
Il giardino dei cactus crestati nel campus di Tempe dell’Arizona State University
Nel marzo del 2019, un gruppo di ricercatori dell’Arizona State University piantarono un giardino di cactus crestati fuori del Biodesign Institute1 nel campus universitario di Tempe. Nella nostra immaginazione antropomorfizzante questi cactus somigliano a dei “mostri” e i loro “arti” si sollevano dal terreno, raggiungendo ogni direzione, a volte piegandosi su sé stessi, mentre si espandono e crescono. Questi affascinanti organismi sono piante con mutazioni che le portano ad avere modelli di crescita non solo bizzarri ma che, da una certa prospettiva di osservazione, si potrebbe postulare che abbiano dei paralleli con il cancro.
Ciò che ha mosso questo gruppo di ricercatori a piantare i cactus fu l’idea di creare un’opportunità per le persone di riunirsi intorno al cancro in modo positivo e fiducioso, pur riconoscendo la realtà spesso mortale delle neoplasie. Come il cancro negli umani, la crescita fuori controllo osservata in questi cactus, che fa sì che le loro punte si espandano in stravaganti creste o schemi a volte inquietanti, simili al cervello, deriverebbe da interruzioni nel comportamento cellulare, spesso a seguito di mutazioni.2
Parallelamente ai tumori negli umani, queste escrescenze, tecnicamente note come fasce, indebolendole, possono rendere le piante più vulnerabili alle malattie e alla morte. Eppure i cactus crestati spesso vivono o convivono, se si preferisce quest’idea, con la loro crescita simile al cancro per decenni. A causa della loro bellezza scultorea unica, i cactus crestati sono molto ricercati. Botanici e giardinieri si prendono cura di questi rari esemplari con grande cura, aiutandoli a sopravvivere e prosperare nonostante la loro vulnerabilità.
I cactus crestati, nella predisposizione antropomorfizzante e religiosa della nostra cultura generatrice di significati metafisici, ci mostrerebbero che noi umani non saremmo soli. Il cancro e le crescite cellulari simili al cancro, dalla prospettiva della biologia evoluzionista3, costituiscono un’eventualità per tutte le forme di vita multicellulare4, dal corallo ai cactus e dai topi agli elefanti, e lo sarebbero stati sin da quando la multi-cellularità si sarebbe evoluta per la prima volta circa 2 miliardi di anni fa. In quest’interpretazione della formazione della vita organica come oggi la conosciamo, il cancro sarebbe inesorabilmente legato5 alla natura cooperativa della multi-cellularità, natura che consentirebbe a gruppi di cellule di raggiungere obiettivi collettivi che sono impossibili per le cellule che operano da sole o come singoli individui. Argomentazioni classiche in materia sono quelle di Paul Nurse, riassunte nel suo articolo diffuso per prima volta nel 2003, The great ideas of biology, quelle di Robert Weinberg, discusse nel suo libro The Biology of Cancer presentato nel 2006 e di quelle di Nathan H Lents esaminate nella sua opera pubblicata nel 2018 Human Errors: A Panorama of Our Glitches, From Pointless Bones to Broken Genes. Sintesi delle loro argomentazioni riguardo la cellula come struttura base e unità funzionale della vita e riguardo l’evoluzione degli organismi multicellulari può essere consultata nell’articolo “L’inevitabilità del cancro” apparso su BIO in giugno del 2018.6
La natura cooperativa della pluri-cellularità e le cellule free-riding
Nella prospettiva della teoria dell’evoluzione delle forme viventi, la vita multicellulare avrebbe sviluppato numerosi sistemi che stabiliscono o rafforzano la cooperazione cellulare, compresi i controlli sulla proliferazione cellulare, l’uso delle risorse e perfino la morte cellulare per garantire che nessuna cellula particolare tragga vantaggio dal gruppo multicellulare cooperativo. Questi sistemi di applicazione della cooperazione però non sarebbero perfetti perché a volte delle cosiddette cellule free-riding, o cheater (imbroglione), riescono a sfuggire i controlli e a sfruttare la cooperazione insita nell’articolato corpo multicellulare. Quando ciò accade, si traduce in quello che conosciamo come cancro.
Stando a questa interpretazione, le cellule cancerose prospererebbero e prolifererebbero all’interno del corpo perché prenderebbero più risorse e opportunità per sé stesse e non seguirebbero le regole della vita della cooperazione multicellulare come farebbero la maggior parte delle cellule “sane”. Inoltre, sfuggirebbero la morte cellulare programmata (apoptòsi)7, ad esempio, quando subiscono troppe mutazioni, diventando una minaccia per l’organismo multicellulare. Questo inganno offrirebbe alle cellule tumorali un vantaggio competitivo rispetto alle cellule sane, consentendo loro di espandersi nella popolazione e minacciare la vitalità dell’organismo.
Trasferendo questo schema interpretativo degli eventi che accadono nella vita degli organismi multicellulari, si potrebbe pensare a questo come ad un tipo di comportamento selettivo che si svolge all’interno degli organismi su scala microscopica. Gli imbroglioni, vale a dire cellule che proliferano troppo o utilizzano le risorse troppo rapidamente, prospereranno e diventeranno più frequenti nella prossima generazione, evolvendosi per diventare progressivamente più efficaci nello sfruttare l’insieme multicellulare. Ciò significherebbe che il cancro costituisce, potenzialmente, un’eventualità per qualsiasi forma di vita multicellulare, compresi gli umani. Con circa 30 trilioni di cellule che cooperano e coordinano costantemente il loro comportamento e la loro espressione genica, noi umani possiamo immaginarci come bastioni delle strategie multicellulari dove ogni volta che una cellula del nostro corpo duplica il suo DNA è un terno al lotto perché deve necessariamente avvenire in un ordine prestabilito. Infatti, quando il cancro colpisce in qualsiasi distretto corporeo, sarebbe perché i meccanismi di controllo sono privi di agire. La tumore-genesi inizia quando una singola cellula inizia a moltiplicarsi senza controllo. Come sostiene il Nobel per la Medicina del 2001, il biochimico Paul Maxime Nurse, proprio per la sua scoperta di uno di questi meccanismi di controllo: “il cancro è una malattia della divisione cellulare”.
I cactus crestati, stando ai ricercatori del progetto dell’Arizona State University, in quanto forme singolari di vita, costituiscono metafore che possono avviare in noi intuizioni cognitive che ci consentono di sviluppare un modello interpretativo della nostra suscettibilità al cancro, non solo in termini di qualcosa che accade nell’evoluzione degli organismi pluricellulari durante la storia della vita sulla Terra ma, come risultato dei processi evolutivi che avvengono nell’organismo durante la sua vita come individuo. Nei modelli dell’evoluzione dei sistemi biologici complessi, le cellule si evolvono all’interno degli organismi o dei corpi multicellulari attraverso un processo chiamato evoluzione somatica. L’evoluzione somatica8 è proprio come l’evoluzione degli organismi che avviene nel mondo naturale, tranne che nell’evoluzione somatica la selezione naturale agisce sulle cellule all’interno di un organismo, piuttosto che su interi organismi.
Se, seguendo le idee evoluzioniste dei ricercatori del progetto del giardino dei cactus crestati, si dovesse abbozzare l’albero evolutivo delle cellule somatiche nel corpo (simile a un albero genealogico che rappresenta un lignaggio ancestrale), un evento di cancro apparirebbe come un ramo particolarmente cespuglioso in quell’albero. Le cellule tumorali prolifererebbero rapidamente perché fallirebbero a morire quando dovrebbero e consumerebbero avidamente le risorse dell’ambiente (cioè, del corpo). Le creste che si formano quando i cactus crestati crescono, mostrerebbero la “cespugliosità” dell’albero evolutivo in un modo letterale e incarnato. Mentre guardare ad occhio nudo un tumore in un animale, umano o non umano che sia, non rivela, appunto, molto sulla sua storia o struttura evolutiva, con i cactus crestati si scorgerebbe la storia evolutiva e la traiettoria delle cellule mutate nei rami che crescono e si espandono in tutte le direzioni.
L’incarnazione visiva delle escrescenze incontrollate di questi cactus consente, secondo i ricercatori, di comprendere, naturalisticamente, qualcosa di profondo sul cancro senza un microscopio e senza una complessa genomica statistica. In questa prospettiva il cancro si può leggere, letteralmente, come una conseguenza dell’organismo stesso, piuttosto che qualcosa di “altro”, come un avvenimento collegato al resto dell’organismo attraverso la sua storia e biologia. Le creste sorgono quando le cellule del meristema (l’equivalente vegetale delle cellule staminali umane che devono ancora differenziarsi in cellule specializzate) formano una fascia, piuttosto che un punto, come fanno durante lo sviluppo più tipico delle piante, quando le cellule del meristema si replicano, creando bande increspate di tessuto vegetale proliferante piuttosto che una singola punta in crescita, come è più tipico tra le altre piante.
I rilevatori di cellule cheater monitorano le cellule per rilevare eventuali segni di “comportamento scorretto”
La vita multicellulare avrebbe sviluppato modi per tenere sotto controllo il cancro e anche i cactus crestati, stando ai ricercatori, incarnerebbero questo. Quando piante come i cactus sviluppano forme simili al cancro, in genere, queste non si diffondono in tutta la pianta, rendendo più facile per le piante sopravvivere e prosperare nonostante le mutazioni. Allo stesso modo, in tutta la vita multicellulare, i sistemi di soppressione del cancro si sarebbero evoluti. In particolare, c’è stato identificato un “gene soppressore del tumore”, il TP53, trovato negli umani e in altri animali, che codifica per la proteina p539 che monitora le cellule per danni al DNA e avvia un processo di suicidio cellulare se il danno non può essere riparato.
Il gene TP53 ed altri sistemi di soppressione del cancro aiutano a capire perché animali grandi non siano più inclini al cancro, fenomeno noto come il paradosso di Peto (dal nome dello statistico che ha osservato la manifestazione per primo). La logica suggerisce che, poiché hanno più cellule in un periodo di vita più lungo, animali particolarmente grandi e longevi dovrebbero sperimentare una maggiore incidenza di cancro rispetto a specie più piccole e dalla vita più breve, ma non è così. Gli elefanti, ad esempio, hanno più cellule di qualsiasi altro animale terrestre, ma, d’accordo con i modelli della ricerca, avrebbero sviluppato più copie di TP53, il che probabilmente spiega il perché non siano più vulnerabili al cancro.
Si può pensare a geni quale i TP53 come dei rilevatori di cellule cheater (o cellule imbroglione) del genoma. Questi “geni rilevatori”, si potrebbe dire, monitorano le cellule per identificare qualsiasi segno di “comportamento scorretto” e poi, attraverso la riparazione del DNA, lo correggono prima che la cellula possa replicarsi o, se necessario, avviano il processo del suicidio cellulare per proteggere l’intero organismo. Il gene TP53 è solo uno dei tanti sistemi di soppressione del cancro che le forme di vita multicellulari hanno sviluppato. In base ai modelli della ricerca, noi umani abbiamo due copie di TP53: una ereditata dalle nostre madri, una dai nostri padri. Quando una di queste copie muta, come accade, per esempio, nella malattia ereditabile Li-Fraumeni (dal nome dei due medici che l’hanno individuata e classificata), il rischio del cancro durante la vita aumenterebbe rapidamente.
I più grandi mammiferi sulla Terra, le balene, sembrano avere sistemi di soppressione del cancro particolarmente intensi. Il sequenziamento del genoma della balena artica, o balena della Groenlandia, ha rivelato la duplicazione del gene PCNA10 che codifica l’omonima proteina PCNA. Questa proteina è coinvolta, in modo cruciale, nell’accurata replicazione e riparazione del DNA. Un gruppo di ricercatori dell’Arizona Cancer Evolution Center ha esaminato il genoma della megattera e anche il genoma di altre balene e hanno trovato evidenze che questi cetacei abbiano sviluppato una varietà di geni oncosoppressori, compresi geni che codificano per la riparazione del DNA e la soppressione delle metastasi o diffusione di cellule cancerose da una parta all’altra del corpo.
Dunque, agli studi degli oncosoppressori negli elefanti, nelle balene e nei cactus crestati ci insegnano che tanto loro come noi umani siamo forma di vita multicellulare che a volte possiamo convivere con il cancro. Stando alla biologia evoluzionista, la vita multicellulare è alle prese con il cancro sin dai suoi inizi e si è evoluta per tenerlo sotto controllo. Guardando ai cactus crestati e al modo in cui vivono con il cancro, e anche guardando più ampiamente attraverso l’albero della vita a come gli organismi sopprimono il cancro, si possono intuire e sviluppare modi nuovi e più efficaci per prevenire e trattare la malattia.
La terapia adattiva
In proposito, un approccio innovativo e radicale è quello della “terapia adattiva” che mira a controllare il tumore, mantenendolo a una dimensione stabile, anziché a sradicarlo, come è prassi nell’approccio terapeutico convenzionale. La terapia adattiva è uno dei trattamenti di maggiore successo finora emerso da un approccio evoluzionistico al cancro. Lanciato da Robert Gatenby, oncologo e biologo evoluzionista presso il Moffitt Cancer Center in Florida, è stato testato per la prima volta su topi dieci anni fa ed ora viene sperimentato in studi clinici con pazienti. In questa proposta, un tumore viene trattato, in primo luogo, per ridurlo a una dimensione gestibile, dopodiché viene ulteriormente trattato, solo se e quando cresce al di sopra di una certa soglia. In base allo studio in questione, ci sono variazioni nell’esatto algoritmo utilizzato per esprimere questo giudizio circa la soglia, ma tutti gli studi di terapia adattiva condividono il principio generale di trattare il tumore con l’obiettivo di controllo piuttosto che di eradicazione.
Dal punto di vista della terapia adattiva al cancro, un problema critico con le chemioterapie tradizionali è che le dosi elevate e ravvicinate, che mirano a eradicare il tumore, possono, effettivamente, finire per selezionare cellule tumorali resistenti ai farmaci. Quando il cancro ricresce, come spesso accade, i farmaci non funzionano più perché le cellule che rimangono sono quelle che sono cresciute dalle poche cellule resistenti sopravvissute alla terapia ad alto dosaggio. Ironia della sorte, maggiore la dose chemioterapica, più forte la pressione di selezione a favore delle cellule resistenti ai farmaci. E questo accade perché la fitness11 differenziale tra cellule sensibili e resistenti risulta maggiore con un trattamento più forte.
In base ai sostenitori del paradigma della terapia adattiva ed altri, approcci volti al controllo del tumore possono aggirare questo problema della chemioterapia convenzionale. Con la terapia adattiva, il tumore non viene mai trattato con l’obiettivo di eliminarlo ma solo di mantenerlo di dimensioni gestibili. Ciò significa che anche alcune cellule sensibili sopravvivano alla terapia e, quindi, quando la chemioterapia venga rimossa, il tumore che ricresce include sia cellule sensibili che resistenti. Infatti, poiché in genere c’è una sorta di costo per la resistenza ai farmaci, in assenza di terapia, sono spesso delle cellule sensibili che crescono meglio delle cellule resistenti. In relazione ai modelli teoretici sperimentali della ricerca centrata sulla dinamica evolutiva del tumore, quando il farmaco viene rimosso, sono le cellule sensibili ad iniziare a superare quelle resistenti e, man mano che il tumore cresce, si sviluppa in un complesso cellulare più gestibile piuttosto che in uno più pericoloso. In uno dei trial volti ad integrare le dinamiche evolutive nel trattamento del carcinoma prostatico metastatico12, la terapia adattiva ha tenuto sotto controllo i tumori di 10 degli 11 pazienti coinvolti i quali sono anche sopravvissuti molto più a lungo rispetto ai pazienti che hanno ricevuto il trattamento tradizionale.
Sebbene il cancro sia una malattia ritenuta terribile esso è ugualmente una parte intrinseca della vita multicellulare. Mantenerlo sotto controllo più a lungo è, stando ai sostenitori dell’approccio, un obiettivo più realistico per il futuro della terapia del cancro piuttosto che sperare in una bacchetta magica che elimini il cancro una volta per tutte. Oggi, la terapia adattiva sta guadagnando terreno, nonostante la sua premessa principale sia contraria agli approcci tradizionali. Un gruppo di ricercatori dell’Arizona State University sta lavorando per avviare una sperimentazione di terapia adattiva per il cancro al seno dopo aver ricevuto finanziamenti dall’Arizona Department of Health Services. Molti altri ricercatori stanno cercando finanziamenti per avviare i propri trial di terapia adattiva. Al momento Gatenby e i suoi colleghi del Moffitt continuano a portare avanti il loro lavoro e stanno anche reclutando pazienti per un secondo studio clinico sul carcinoma prostatico. Finora, nessun paziente in terapia adattiva avrebbe visto il suo cancro progredire. Tali sperimentazioni cliniche di successo costituiscono un passo essenziale nel percorso per portare la terapia adattiva nella clinica.
I cactus crestati ci mostrano la promessa dell’approccio terapeutico adattivo. Incarnano l’idea che avere il cancro e forme simili al cancro possa portare ad una maggiore vulnerabilità (come la maggiore suscettibilità alle infezioni che hanno i cactus crestati), ma con una cura blanda sarebbe possibile sopravvivere e prosperare, comunque. Inoltre, ci sarebbe una bellezza mostruosa nelle loro crescite che, come il cancro, sono una manifestazione della creatività e della resilienza della vita, anche se il loro successo cellulare potrebbe comprometterci come organismi multicellulari. La domanda di rigore diventa, come tenere sotto controllo il cancro, forse anche consentendogli alcuni aspetti della sua natura mostruosa, rimanendo concentrati sul mantenere in vita i pazienti e la loro qualità di vita più alta.
Il cancro farebbe parte di ciò che siamo come forme di vita multicellulari.
L’idea degli studiosi che hanno creato il giardino dei cactus crestati al campus di Tempe dell’Arizona State University è quella di contribuire allo sviluppo di un nuovo paradigma in cui ci si prenda meno cura dei malati di cancro come un intervento per assisterli nello sradicamento di qualcosa di esterno, come i parassiti, ma piuttosto come un intervento mirato a prendersi cura di forme di vita insolite. La loro idea è quella anche di sensibilizzare gli operatori sanitari ad avvicinarsi al malato di cancro più come ci si avvicina ai cactus crestati, prestando attenzione alle cure di cui ha bisogno per continuare a prosperare. Il giardino dei cactus crestati è ispirato alla diversità di forme per rendere un parallelo con il cancro umano con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza sulla natura evolutiva del cancro e sfidare il modo tradizionale in cui viene trattato.
Sebbene sia il primo nel suo genere, i creatori del giardino dei cactus delle forme bizzarre sperano che non sia l’ultimo giardino e stanno collaborando con ospedali e altri istituti di ricerca per sviluppare giardini che ospitino cactus crestati ed altre piante affette da fasciazione13. Si spera che questo progetto riesca a stimolare più conversazioni tra ricercatori e medici sulla natura del cancro, su come viene trattato e su cosa si potrebbe fare in modo diverso. Si spera, inoltre, che aiuterà a creare uno spazio per i malati di cancro e i loro cari dove sperimentare il cancro in modo diverso, cioè come parte della vita anziché come una minaccia finale per essa. Questo esperimento consente di ammirare la “diversità estetica” che questi cactus schiudono alla sensibilità umana mentre lottano con una sfida fondamentale che la vita affronta sin dagli albori della multi-cellularità, la stessa lotta che doveva essere superata affinché la multi-cellularità si evolvesse e potesse tenere sotto controllo la frode cellulare in modo che la cooperazione multicellulare potesse prosperare.
Nonostante le minacce che ci pone, il cancro, in questa prospettiva teoretica sperimentale, farebbe parte di ciò che siamo come umani e come forme di vita multicellulari. Il giardino dei cactus crestati rappresenta la continuazione di questa storia evolutiva e potrebbe essere interpretato come un incoraggiamento a rivedere le nostre concezioni sul cancro e, in particolare, al mondo medico, ad adattare il suo approccio al trattamento e alla gestione del cancro.
______________Note _________________
1 Il Biodesign Institute è un importante centro di ricerca noto per le soluzioni ispirate dalla natura alle sfide globali per la salute, la sostenibilità e la sicurezza situato nel campus di Tempe dell’Arizona State University. L’istituto è organizzato in un numero crescente di centri di ricerca collaborativa e laboratori con personale di scienziati in diverse discipline.
2 Athena Aktipis. The cheating cell: how evolution helps us understand and treat cancer. Princeton University Press, 2020
3 La biologia evolutiva dello sviluppo è la disciplina scientifica che analizza in chiave evolutiva la struttura e le funzioni del genoma (ovvero l’assetto completo di tutto il DNA contenuto in una cellula).
4 Gli organismi pluricellulari (o multicellulari) sono organismi costituiti da più di una cellula e aventi cellule differenziate che svolgono funzioni specializzate. La maggior parte della vita visibile a occhio nudo ovvero la stragrande maggioranza di esseri viventi a livello macroscopico è pluricellulare.
5 Athena Aktipis. The Cheating Cell: How Evolution Helps Us Understand and Treat Cancer. Princeton University, 2020
6 Rinaldo O. Vargas & Eugenia D’Alterio. L’inevitabilità del cancro. In “BIO Educational Papers Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità Retroscena”, Anno VII, N°. 26, Giugno 2018
7 In biologia, il termine apoptòsi indica una forma di morte cellulare programmata, termine con il quale il processo è stato tradizionalmente chiamato. Si tratta di un processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare, e in condizioni normali contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema.
8 Nei modelli dell’evoluzione dei sistemi biologici complessi, l’evoluzione somatica sarebbe l’accumulo di mutazioni ed epimutazioni nelle cellule somatiche (le cellule di un corpo, al contrario del plasma germinale o delle cellule staminali) durante la vita e gli effetti di tali mutazioni ed epimutazioni sulla forma fisica di quelle cellule. Questo processo evolutivo è stato dimostrato per la prima volta dagli studi di Bert Vogelstein sul cancro al colon. L’evoluzione somatica è importante nel processo di invecchiamento e nello sviluppo di alcune malattie, incluso il cancro. Le cellule nelle neoplasie pre-maligne e maligne si evolvono per selezione naturale. Questo spiega come il cancro si sviluppa dal tessuto normale e perché è stato difficile di curare. Le cellule nelle neoplasie competono per le risorse, come l’ossigeno e il glucosio, oltre che per lo spazio. Pertanto, una cellula che acquisisce una mutazione che aumenta la sua forma fisica genererà più cellule figlie rispetto alle cellule concorrenti prive di tale mutazione. In questo modo, una popolazione di cellule mutanti, chiamata clone, piò espandersi nella neoplasia. L’espansione clonale è la firma della selezione naturale nel cancro. Le terapie antitumorali agiscono come una forma di selezione artificiale, uccidendo cellule cancerose sensibili, ma lasciando dietro di sé cellule resistenti. Spesso il tumore ricrescerà da quelle cellule resistenti, il paziente avrà una ricaduta e la terapia che era precedentemente utilizzata non ucciderà più le cellule tumorali.
9 La P53, anche conosciuta come proteina tumorale 53 (gene TP53), è un fattore di trascrizione che regola il ciclo cellulare e ricopre la funzione di soppressore tumorale. La sua funzione è particolarmente importante negli organismi pluricellulari per sopprimere i tumori nascenti. La P53 è stata descritta come “il guardiano del genoma” riferendosi al suo ruolo di preservazione della stabilità attraverso la prevenzione delle mutazioni. Deve il suo nome alla semplice massa molecolare: pesa infatti 53 kDa.
10 Con l’acronimo PCNA viene identificata l’antigene nucleare di proliferazione cellulare (Proliferating Cell Nuclear Antigen)). La PCNA è una proteina ad azione di fattore di processività per la DNA-polimerasi-δ, individuata nelle cellule eucariotiche. La struttura di tale proteina è in grado di assumere una peculiare conformazione la quale le consente di contattare il DNA (DNA clamp) e di promuovere l’azione della polimerasi durante la replicazione del DNA. La proteina PCNA codificata dal gene PCNA si localizza nel nucleo delle cellule eucariotiche, fa parte dei cofattori della DNA polimerasi delta, la loro reciproca associazione aumenta la processività nella sintesi del filamento guida durante la replicazione del DNA. In risposta ad un danno al DNA questa proteina viene ubiquitinata e quindi coinvolta nella via di riparazione del DNA RAD6-dipendente. Il gene PCNA codifica per due varianti di trascrizione della proteina. Pseudogeni di PCNA sono stati individuati sul cromosoma 4 e sul cromosoma X.
11 Valore adattivo di un organismo (o genotipo) nei confronti di un altro organismo della stessa specie in un determinato ambiente.
12 Jingsong Zhang, Jessica J. Cunningham, Joel S. Brow e Robert A. Gatenby. Integrating evolutionary dynamics into treatment of metastatic castrate-resistant prostate cancer. In “Nature Communications”, Vol. 8, Article number: 1816, 2007
13 La fasciazione è una relativamente rara condizione di sviluppo anormale nelle piante vascolari, per il quale il meristema apicale, che normalmente si sviluppa intorno ad un singolo punto generando del tessuto approssimativamente cilindrico, diviene invece allungato perpendicolarmente alla direzione di crescita producendo tessuti appiattiti, simili a nastri o di forme elaborate e contorte. A volte la fasciazione causa la crescita in peso e volume di parti della pianta. Si sospetta che la fasciazione possa derivare da squilibri ormonali a livello delle cellule meristematiche della pianta, ma anche che potrebbe derivare da una mutuazione genetica casuale.