BIO – Medicina Costruzione Sociale nella Post-Modernità – Educational Papers • Anno XI • Numero 43 • Settembre 2022
Preambolo a favore dei temi che sembrano paradossalmente scollegati dal reale contingente dell’establishment
Quando per circostanze, non meglio definibili che come uno stato fortuito di cose, ci si ritrova a dover occuparsi di argomenti fuori dall’agenda contingente e programmatica dell’establishment o delle sue lobbies, c’è la possibilità che uno si renda conto di quanto le nostre strategie di sopravvivenza, in realtà eterodirette, siano ristrette e, quasi, impossibilitate di cogliere nuove intuizioni cognitive e valutative riguardanti l’esistenza umana e l’inerente autocoscienza del mondo. In tali congiunture potrebbe capitarci di auto-percepirci come criceti turbinanti coattivamente sul girello e, successivamente, spaesati e, in seguito, proiettati in sentieri interpretativi inediti in merito alla nostra condizione umana, vie dalle quali ci appare un mondo di connessioni inattese nonché inquietanti. In breve, e utilizzando ancora un’altra metafora che renda l’idea, ci si può ritrovare come si ritrovano le persone meno conformiste quando, nel momento della diagnosi di una malattia seria improvvisa, si imbattono con la limitatezza delle probabilità di curarla.
Infatti, quando crolla il piccolo mondo delle nostre certezze e routine, solo la fortuna di subire una qualche feconda epifania potrebbe aprirci alla costruzione di nuovi orizzonti di senso fuori dal coro o controcorrenti. Sì, perché è, forse, quando vengono meno le nostre convinzioni, quando, precisamente, ci rendiamo conto della limitatezza della nostra conoscenza e delle difficoltà di semplificare il reale travolto dalle proprie derive emergenti. Quando accade un turbamento del genere si è costretti ad abbandonare le diatribe di cappelle e a contemplare gli anfratti dai quali possono emergere nuove intuizioni con le quali poter costruire convinzioni in cui siamo più consapevoli di agire strategie adattive per la nostra idea (a monte, se vogliamo essere oggettivi) di sicurezza e sopravvivenza.
Scossi, in uno stato fortuito di cose, allora ci si risveglia ponderando domande che sembrerebbero banali ma che sono, effettivamente, molto pertinenti per allargare, nella nostra esperienza soggettiva, le scale interpretative (o le imposizioni troppo premesse) predisposte dal biopotere. Allora, si può trovare un senso nell’interrogare il nostro vocabolario quotidiano ormai usurato e concetti di uso comune, come ad esempio, complessità e conoscenza, ci appaiono come semplici recitazioni retoriche che ci nascondono la nostra propria alienazione metafisica nonché la nostra condizione organismica animale. Allora ci accorgiamo di essere portatori di un cervello organico con un paradossale pensiero astratto e accettiamo di fare spazio ad interrogazioni che non si adeguano ai canoni dell’establishment ma che, decisamente, li mettono a nudo. E questa è la ragione di quanto segue pur se possa, volutamente, apparire come un’argomentazione lontanissima dai temi di attualità.
Le difficoltà nel precisare cosa sia la complessità e i limiti della nostra elaborazione di conoscenza
Nella sua dissertazione circa la complessità della natura, l’astronomo e studioso Martin Rees1 sostiene un suggestivo postulato controcorrente, cioè che i cosiddetti buchi neri siano più semplici dalle foreste. Per di più, disturbando le nostre certezze moderne e prometeiche pulsioni, aggiunge che la scienza abbia dei limiti.2
Sulla demarcazione di ciò che possiamo capire e, addirittura, sul futuro della nostra condizione di specie con cervello organico e pensiero astratto, Rees afferma che l’umanità si trova in un momento critico.3 Stando a lui, il nostro mondo sarebbe instabile e in rapido cambiamento e, in questo secolo, seguendo l’andamento degli eventi, noi umani dovremmo affrontare rischi esistenziali inediti.4 Dalla sua prospettiva, questa crisi potrebbe avere vari possibili risultati, giudicabili come buoni e cattivi, in funzione della propria visione del mondo o ideologia e dei propri interessi. Eppure, indipendentemente dalle nostre inclinazioni dottrinali, il nostro approccio umano al futuro apparirebbe e sarebbe, effettivamente, caratterizzato da un pensiero a breve termine, dibattiti polarizzanti, retorica allarmistica e pessimismo.5
Cercando di controbattere la posizione convenzionale che tende a considerare che ciò che sia di una scala grande sia necessariamente complesso, Rees si avvale della sua ipotesi che postula che i buchi neri siano più semplici delle foreste. Per sostenere quest’idea Rees fa riferimento ad Albert Einstein. Al riguardo, Rees sostiene che, Albert Einstein, nella sua teoria della relatività, sentenzia che “la cosa più incomprensibile dell’Universo è che esso sia comprensibile”. Senz’altro, oggi ci fa sorridere una certa ingenuità contenuta in quest’asserzione. Ancora Einstein era pervaso da una visione talmente antropomorfica della realtà e della conoscenza stessa che parlava dell’Universo senza la premessa che esso fosse un concetto e, per di più, gli attribuiva la capacità di comprendere, attività cognitiva riconoscibile piuttosto nell’animale umano. In qualsiasi modo, possiamo dire che, può darsi, Einstein avesse ragione a stupirsi, dopotutto i cervelli umani, da una certa prospettiva interpretativa, si sarebbero evoluti per essere adattabili ma, da un altro livello di interpretazione, la nostra architettura neurale sottostante sarebbe appena cambiata da quando i nostri antenati vagavano per la savana e affrontavano le sfide che la vita su di essa presentava. È sicuramente straordinario che questi cervelli organici, come segnala Rees,6 ci abbiano permesso di dare un senso al quantum e al cosmo, nozioni molto lontane dal “senso comune” e, ugualmente, dal mondo quotidiano in cui ci siamo evoluti.
In ogni modo, Rees7 è dell’idea che la scienza, dopotutto, finirà per fare i conti con la sua presunzione. Al riguardo, lui sostiene che si potrebbero avanzare due ipotesi perché questo possa accadere. Ottimistica sarebbe quella di immaginare che vengano codificate alcune aree (come la fisica atomica) al punto che non ci sia più niente da dire e questo già sarebbe un ridimensionamento della presunzione della scienza. Una seconda possibilità, più preoccupante, sarebbe che raggiungessimo i limiti di ciò che il nostro cervello può afferrare.8 Ad esempio, potrebbero esserci concetti, cruciali per una piena comprensione della realtà fisica, di cui non siamo davvero consapevoli, se non altro non più di quanto una scimmia comprenda il darwinismo o la meteorologia.9 Invero, Rees stima che alcune intuizioni cognitive necessarie a varcare i limiti nella costruzione della nostra conoscenza potrebbero dover attendere la comparsa di un’intelligenza post-umana.
In effetti, da un punto di vista dei principi secondo i quali la scienza costruisce sé stessa,10 la conoscenza scientifica è, in realtà, come la qualifica Rees,11 sorprendentemente “difettosa” e gli eventi inspiegabili più profondi spesso si trovano nelle sue vicinanze. Oggi possiamo interpretare, in modo convincente, misurazioni, come quelle riportate da Benjamin P. Abbott ed altri ricercatori,12 che rivelerebbero due buchi neri che si schiantano insieme a più di un miliardo di anni luce dalla Terra. Nel frattempo, segnala Rees, “abbiamo fatto pochi progressi nel trattamento del comune raffreddore, nonostante i grandi passi avanti nell’epidemiologia”.13 Il fatto che, però, possiamo essere fiduciosi in fenomeni cosmici arcani e remoti e sconcertati dalle cose di tutti i giorni, non sarebbe, davvero, così paradossale come sembra. L’astronomia, ci ricorda Rees, “è molto più semplice delle scienze biologiche e umane”.14 Da questa prospettiva, i buchi neri, sebbene ci sembrino esotici, sarebbero tra le entità semplici in natura perché, come indica Rees, possono essere descritti esattamente da semplici equazioni.15
Quindi, se i buchi neri, descritti da semplici equazioni, risultano, concettualmente e analiticamente, più semplici delle foreste, come definiamo, allora, la complessità? La domanda su quanto lontano possa spingersi la scienza per definire la complessità, e di conseguenza la semplicità, dipende in parte dalla risposta prestabilita per descrivere gli eventi. Se, ad esempio, il punto di riferimento interpretativo, vale a dire la più piccola particella di un elemento del mondo della fisica, fosse l’atomo, allora qualcosa fatto da pochi atomi non potrebbe essere molto complicato. Nello stesso ordine di idee, anche le grandi cose non devono necessariamente essere ritenute complicate. Fra l’altro, nonostante la sua vastità, una stella sarebbe abbastanza semplice perché, come indica Rees,16 il suo nucleo è così caldo che molecole complesse vengono fatte a pezzi e non possono esistere sostanze chimiche, pertanto, ciò che resta è, fondamentalmente, un gas amorfo di nuclei atomici ed elettroni. In alternativa, si consideri un cristallo di sale, composto da atomi di sodio e cloro, impacchettati insieme più e più volte per formare un reticolo cubico ripetuto. Se si prende un grande cristallo e lo si spezza, c’è un piccolo cambiamento nella struttura fino a quando non si scompone nella scala dei singoli atomi, perciò anche se è enorme, un blocco di sale non può essere definito complesso.
Così, in questo tentativo di definizione di cosa sia la complessità seguendo le orme dell’astronomo Rees, atomi e fenomeni astronomici – il molto piccolo e il molto grande – risultano piuttosto basilari nonché fuorvianti nella descrizione e concettualizzazione degli eventi del mondo fisico. Tuttavia, la questione della complessità non si pone in modo particolare riguardo al molto piccolo e al molto grande ma piuttosto, come sostiene Rees,17 a tutto nel mezzo. Questo sarebbe, stando a lui, l’ambito in cui tutto diventa complicato e, in questa prospettiva, i più complessi di tutti risulterebbero gli esseri viventi. Un animale ha una struttura interna di ogni scala, dalle proteine nelle singole cellule fino agli arti e agli organi principali. Non esiste se viene tritato, diversamente da un cristallo di sale che continua ad esistere quando viene affettato e tagliato a dadini. L’animale invece muore.
La comprensione scientifica, pertanto, è talvolta vista come una questione di scale, come una gerarchia, ordinata, quasi come i piani di un edificio. Sfruttando ancora la metafora, si potrebbe proporre che quelli che si occupano di sistemi più complessi sarebbero più in alto, mentre quelli dei più semplici scenderebbero in basso. Invero, stando alla classifica ironica di Rees,18 la matematica sarebbe nel seminterrato, seguita, verso l’alto, cioè al pianoterra, dalla fisica delle particelle, poi dal resto della fisica, successivamente dalla chimica, in seguito dalla biologia, ulteriormente dalla botanica e dalla zoologia e, infine, dalle scienze comportamentali e sociali (con gli economisti che, senza dubbio, rivendicano l’attico).
“Ordinare” le scienze non è, di per sé, controverso, ma risulta discutibile se le “scienze del piano terra” – la fisica delle particelle, in particolare – siano davvero più profonde o più onnicomprensive delle altre. In un certo senso, lo sono chiaramente. Come spiega il Nobel Prize per la fisica del 1979 Steven Weinberg in Dreams of a Final Theory (1992),19 tutte le frecce esplicative puntano verso il basso. Se, come un bambino testardo, si continua a chiedere “Perché, perché, perché?”, si finisce al livello delle particelle. Gli scienziati sarebbero quasi tutti riduzionisti nel senso di Weinberg. Sarebbero fiduciosi che tutto, per quanto complesso, sia una soluzione all’equazione di Schrödinger,20 l’equazione di base che regola il comportamento di un sistema, secondo la teoria quantistica.
Una spiegazione riduzionista, però, non è sempre la migliore o la più utile. Infatti, anche se si volesse avallare, l’osservazione del Nobel Prize per la fisica del 1977 Philip Anderson,21 che tutto, non importa quanto intricato possa essere – foreste tropicali, uragani, società umane – sia fatto di atomi e obbedisca alle leggi della fisica quantistica, ciò non risolverebbe la questione degli immensi aggregati di atomi. Pure se quelle equazioni potessero essere risolte per immensi aggregati di atomi, non offrirebbe, stando a Rees,22 l’illuminazione comprensiva che gli scienziati intendono cogliere.
A tal riguardo, Rees23 sostiene che i sistemi macroscopici, che contengono un numero enorme di particelle, manifestano proprietà “emergenti“24 che sarebbero meglio comprese in termini di concetti nuovi e complessi, appropriati al livello del sistema. Valenza, gastrulazione (quando le cellule iniziano a differenziarsi nello sviluppo embrionale), imprinting e selezione naturale sarebbero tutti esempi di ciò che Rees ci segnala. Anche un fenomeno non inspiegabile come il flusso d’acqua nei tubi o nei fiumi, stando a Rees, sarebbe meglio compreso in termini di viscosità e turbolenza anziché di interazioni atomo per atomo. In effetti, gli specialisti in meccanica dei fluidi non si preoccupano che l’acqua sia composta da molecole di H2O; possono capire come si infrangono le onde e cosa rende increspato un flusso solo perché immaginano il liquido come un continuum.25
Con questi brevi e semplici accenni di un plausibile sforzo di definizione di cosa sia la complessità, si rende palese che nuovi concetti siano particolarmente cruciali per la nostra comprensione di cose davvero complesse come, ad esempio, uccelli migratori e cervelli umani. Possiamo considerare che il cervello è un insieme di cellule mentre un dipinto è un assemblaggio di pigmenti chimici. Ma ciò che sarebbe importante e interessante è come appaiono il modello e la struttura mentre saliamo gli strati, quella che può essere definita complessità emergente.26
Quindi il riduzionismo, stando a Rees,27 corrisponderebbe all’idea del vero solo in un certo senso. Ma raramente è vero in senso utile. Infatti, gli specialisti in meccanica dei fluidi non si preoccupano che l’acqua sia composta da molecole di H2O. Invero, solo l’1% circa degli scienziati o ricercatori sono fisici delle particelle o cosmologi. L’altro 99% lavora a livelli “più alti” della gerarchia. I ricercatori e fisici delle particelle sarebbero, però, considera Rees, ostacolati dalla complessità della loro materia e non da carenze nella loro comprensione della fisica subnucleare.
In realtà, quindi, se prendiamo in considerazione le osservazioni di Rees circa il riduzionismo della scienza e la scala della complessità, si potrebbe asserire che l’analogia tra scienza ed edificio è davvero povera. In realtà, la struttura di un edificio è messa in pericolo da fondamenta deboli. Al contrario, le scienze di “livello superiore”, che si occupano di sistemi complessi, non sembrano essere vulnerabili a una base che potrebbe ritenersi insicura. Ciò che succederebbe, stando all’ipotesi di Rees,28 sarebbe che ogni livello della scienza avrebbe le sue spiegazioni distinte per cui si potrebbe postulare che i fenomeni con diversi livelli di complessità devono essere intesi in termini di concetti diversi, irriducibili nella loro complessità.
Ragionando in questo modo e seguendo la prospettiva di Rees circa un plausibile esperimento di definizione della complessità, si potrebbero aspettare progressi significativi su tre frontiere: il molto piccolo, il molto grande e il molto complesso.29 Tuttavia, avverte Rees, la sua posizione, come studioso della questione della comprensione della scienza e della complessità, è che ci sia un limite a ciò che noi umani possiamo capire.30 I nostri sforzi cognitivi e concettuali per comprendere sistemi molto complessi, come il nostro stesso cervello, potrebbero essere i primi a raggiungere tali limiti. La sua previsione è che può darsi che complessi aggregati di atomi, siano essi cervelli o macchine elettroniche, non potranno mai sapere tutto quello che c’è da sapere su sé stessi. A questo proposito, per di più, Rees segnala che i fisici potrebbero non capire mai la natura fondamentale dello spazio e del tempo perché la matematica alla base di quest’eventuale comprensione è, naturalmente, troppo difficile.
L’affermazione di Rees che segnala che ci siano limiti alla comprensione umana dei fenomeni è stata contestata da David Deutsch,31 importante fisico teorico che ha aperto la strada al concetto di “calcolo quantistico”. Nel suo libro provocatorio The Beginning of Infinity (2011),32 Deutsch afferma che qualsiasi processo è calcolabile, in linea di principio. Al riguardo, Rees accetta che l’affermazione di Deutsch corrisponda a ciò che concettualizziamo come vero. Tuttavia, osserva, essere in grado di calcolare o quantificare qualcosa oppure identificare la sua materia non è lo stesso di averne una comprensione perspicace. Per illustrare la sua considerazione Rees ricorre al bellissimo modello frattale circa la geometria della natura,33 noto come insieme di Mandelbrot, che è descritto da un algoritmo che può essere steso in poche righe. La sua forma può essere tracciata addirittura da un computer di modesta potenza, ma, puntualizza Rees, nessun umano a cui è stato appena fornito l’algoritmo può visualizzare questo schema, immensamente complicato, nello stesso senso in cui può visualizzare, ad esempio, un quadrato o un cerchio.
Di fronte all’impossibilità di dare una soluzione definitiva alla questione dell’esplicitazione del concetto di complessità e reiterando la sua posizione circa i limiti della scienza e della cognizione umana, Rees ci ricorda la posizione del campione di scacchi Garry Kasparov nonché sfidante e vincitore dei match con il computer Deep Blue dell’IBM, che sostiene in Deep Thinking (2017)34 che “umano + macchina” sia più potente di entrambi da soli. L’ipotesi di Rees riguardo l’integrazione tra umano e macchina è che può darsi che sfruttando la simbiosi rafforzata tra i due verranno fatte nuove scoperte. Ad esempio, diventerà progressivamente più vantaggioso utilizzare simulazioni al computer piuttosto che condurre esperimenti nello sviluppo di farmaci e nella scienza dei materiali. In ogni modo, se le macchine alla fine ci supereranno a un livello qualitativo – e anche loro stesse diventeranno consapevoli – è e rimane una controversia viva.
Per quanto riguarda questa breve argomentazione editoriale ciò che ci interessa è aver ancora evidenziato, come tradizione di BIO Educational Papers, le astrusità di concettualizzare e comprendere (al di là dei dubbi) le proprietà emergenti della materia, sia essa intesa come vita in termini di una foresta tropicale sia come un fenomeno complesso, quale l’elaborazione metafisica dell’interpretazione del mondo, effettuata con l’utilizzo di un cervello organico, come fa l’animale umano, invitandovi, nel contempo, ad esporvi anche voi a queste epifanie della condizione umana che emergono quando ci allontaniamo dalle certezze promesse nelle agende di attualità dell’establishment e delle sue istituzioni al servizio del biopotere che gestisce, pressoché entropicamente, le ataviche strategie di sopravvivenza delle popolazioni umane.
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1 Martin Rees. Black holes are simpler than forests and science has its limits. In AEON, 1st December 2017
2 Ibidem
3 Martin Rees. On the future: Prospects for humanity. Princeton University Press, 2018
4 Ibidem
5 Ibidem
6 Martin Rees, op. cit., 1st December 2017
7 Ibidem
8 Ibidem
9 Ibidem
10 Cioè della filosofia della scienza, e in senso più ampio la conoscenza dei metodi delle scienze e dei principi secondo i quali la scienza costruisce sé stessa.
11 Martin Rees, op. cit. 2018
12 B.P. Abbott et al. Observation of gravitational waves from binary black hole merges. In Physical Review Letters, Vol. 116, Issue 6-12 February 2016
13 Martin Rees, op. cit., 1st December 2017
14 Ibidem
15 Martin Rees, op. cit., 2018
16 Martin Rees, op. cit., 1st December 2017
17 Ibidem
18 Ibidem
19 Steven Weinberg Dreams of A Final Theory: The Search for The Fundamental Laws of Nature. Vintage, 1993
20 In meccanica quantistica l’equazione di Schrödinger è un’equazione fondamentale che determina l’evoluzione temporale dello stato di un sistema, ad esempio di una particella, di un atomo o di una molecola
21 P. W. Anderson. More Is Different: Broken symmetry and the nature of the hierarchical structure of science. In Science, Vol. 177, Issue 4047, pp. 393-396, 4 August 1972. In sostanza Anderson sosteneva che il comportamento dei sistemi complessi non si spiega in termini di una semplice estrapolazione delle proprietà di sistemi più piccoli. Al contrario, ad ogni livello di complessità compaiono proprietà interamente nuove.
22 Martin Rees, op. cit., 1st December 2017
23 Ibidem
24 Anche i fisici hanno cercato di definire le proprietà emergenti. Per Philip Anderson, per esempio, l’emergenza è una proprietà collettiva della materia che nessun componente del collettivo possiede singolarmente. Anche lui propone l’esempio dell’acqua. Prendete una molecola di questo comunissimo liquido. In essa, rileva Anderson, non c’è nulla di particolarmente complicato. C’è un grosso atomo, l’ossigeno, legato a due piccoli atomi di idrogeno. Il comportamento di una molecola d’acqua è descritto (con qualche difficoltà di carattere pratico) da note equazioni della meccanica quantistica. Ma mettiamo insieme miliardi e miliardi di molecole di acqua in un recipiente, a temperatura e pressione ambiente. Vedremo questo collettivo di molecole che inizia a gorgogliare, a gocciolare, a luccicare. Le molecole hanno acquistato una proprietà collettiva: sono diventate un liquido. Nessuna di esse, presa singolarmente, può essere definita una molecola liquida. Lo stato liquido, conclude Anderson, è una proprietà emergente. Una proprietà che è sola dell’insieme di molecole.
25 Martin Rees, op. cit., 1st December 2017
26 Un comportamento emergente o proprietà emergente può comparire quando un numero di entità semplici (agenti) operano in un ambiente, dando origine a comportamenti più complessi in quanto collettività. La proprietà stessa non è facilmente predicibile, e rappresenta un successivo livello di evoluzione del sistema. I comportamenti complessi non sono proprietà delle singole entità e non possono essere facilmente riconosciuti o dedotti dal comportamento di entità del livello più basso. La forma e il comportamento di uno stormo di uccelli o di un banco di pesci sono buoni esempi di proprietà emergente. Una delle ragioni per cui si verifica un comportamento emergente è che il numero di interazioni tra le componenti di un sistema aumenta combinatoriamente con il numero delle componenti, consentendo il potenziale emergere di nuovi e più impercettibili tipi di comportamento. D’altro canto, non è affatto sufficiente un gran numero di interazioni per determinare un comportamento emergente, perché molte interazioni potrebbero essere irrilevanti, oppure annullarsi a vicenda. Generalmente, un grande numero di interazioni può contrastare l’emergenza di comportamenti interessanti, creando un forte “rumore di fondo” che può “zittire” ogni segnale di emergenza; il comportamento emergente potrebbe in questo caso aver bisogno di essere temporaneamente isolato dalle altre interazioni mentre raggiunge una massa critica tale da autosostenersi. Si nota quindi che non è solo il numero di connessioni tra le componenti a incoraggiare l’emergenza, ma anche l’organizzazione di queste connessioni. Un’organizzazione gerarchica è un esempio che può generare un comportamento emergente (una burocrazia può avere un comportamento diverso da quello degli individui umani al suo interno); ma un comportamento emergente può nascere anche da strutture organizzative più decentralizzate, come ad esempio un mercato. In alcuni casi, il sistema deve raggiungere una certa soglia di combinazioni di diversità, organizzazione e connettività prima che si presenti il comportamento emergente. Apparentemente i sistemi con proprietà emergenti o strutture emergenti sembrano superare il principio entropico e sconfiggere la seconda legge della termodinamica, in quanto creano e aumentano l’ordine. Questo è possibile perché i sistemi aperti possono ricavare informazione e ordine dall’ambiente. La seconda legge della termodinamica in realtà si riferisce ad un sistema chiuso: “se avviene un processo irreversibile, in un sistema chiuso, l’entropia S del sistema aumenta sempre, in particolare non diminuisce mai“. Nei sistemi aperti l’aumento dell’entropia dell’universo non viene comunque violata.
27 Martin Rees, op. cit., 1st December 2017
28 Ibidem
29 Ibidem
30 Ibidem
31 David Deutsch. Creative Blocks. In AEON, 3 October 2012. Nella sua argomentazione Deutsch sostiene che le stesse leggi della fisica implicano che l’intelligenza artificiale debba essere possibile. E si domanda: cosa ci trattiene ad arrivarci.
32 David Deutsch. The Beginning of Infinity. Penguin Group USA, 2021 / Questo libro intende cambiare il paradigma con il quale pensiamo la conoscenza. Deutsch esplora i grandi temi che informano la nostra comprensione del funzionamento del mondo fisico. Per molti secoli gli antichi modi di pensare impedirono all’umanità di dotarsi di un valido metodo per correggere errori e superare concezioni fallaci. Di conseguenza, per lunghi periodi le idee permasero in uno stato di stagnazione. Non a caso, trattandosi di spiegazioni sbagliate, perfino la migliore di esse poté ottenere solo qualche seguito, risultando il più delle volte fragile e inaffidabile al di là, ma anche all’interno, delle sue applicazioni tradizionali.
33 B.B. Mandelbrot, The Fractal Geometry of Nature. W.H. Freeman and Company, New York, 1977 and The Visual Mind, M. Emmer, ed., MIT Press, 1993
Taylor, R., Newell, B., Spehar, B., Clifford, C. Fractals: A Resonance between Art and Nature. In: Emmer, M. (eds) Mathematics and Culture II. Springer, Berlin, Heidelberg, 2005
Taylor, R. Fractal Patterns in Nature and Art Are Aesthetically Pleasing and Stress-Reducing Smithsonian Magazine, March 31, 2017
Taylor, R. Fractal secrets of Rorschach’s famed ink blots revealed. In Nature, Feb. 14, 2017
34 Deep Thinking: Where Machine Intelligence Ends and Human Creativity Begins. Public Affairs, 2017