Tra dieta vegana e tumori al seno c’è una stratta relazione. D’altra parte si dice che: siamo quello che mangiamo. Quando Ludwig Feuerbach nel 1862 scrisse queste parole, probabilmente pensava più a una provocazione che a un dato fattuale. Eppure, 150 anni dopo, quella frase si è rivelata incredibilmente profetica. Il cibo, in effetti, ha un ruolo centrale in ogni aspetto della nostra vita, e in particolare per la Salute. Se già da un po’ conosciamo la correlazione tra abuso di zuccheri e sviluppo di tumori, oggi possiamo aggiungere un nuovo tassello al puzzle del legame tra alimentazione e benessere. Uno studio internazionale coordinato dall’IFOM di Milano e dal Policlinico Universitario San Martino di Genova, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, ha infatti mostrato il ruolo chiave che la dieta, e in particolare un regime alimentare ipo-calorico vegano, può avere nel trattamento del tumore al seno.
I ricercatori hanno testato l’efficacia di una dieta di questo tipo, combinata alla terapia ormonale che 3 donne su 4 seguono a seguito di una diagnosi di tumore al seno, dapprima su un modello animale e quindi sulle donne. I risultati indicano che cicli di dieta protratti per una media di circa sei mesi riducono alcuni fattori di crescita che possono influenzare la crescita tumorale. I ricercatori non provano a nascondere l’entusiasmo per lo studio che potrebbe fungere da apripista a un approccio integrato estremamente positivo per il trattamento di questo tipo di tumori. Come già i dati preliminari degli esami condotti su cellule in coltura e topolini, anche negli esseri umani il regime alimentare ipocalorico a base vegetale potrebbe rallentare la crescita del cancro, oltre che migliorare le rese delle terapie tradizionali e e a superare possibili resistenze ai farmaci sviluppate durante i trattamenti.
Dieta vegana e tumore
«La dieta che abbiamo sperimentato, valutandone gli effetti clinici per la prima volta in donne con tumore della mammella anche metastatico in terapia ormonale, è un regime alimentare vegano ipocalorico che induce nel corpo gli effetti metabolici del digiunare», spiega Alessio Nencioni, geriatra e oncologo del Policlinico universitario San Martino di Genova. Gli fa eco Valter Longo, dell’IFOM (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) di Milano. «Nei topi, la dieta mima digiuno non solo ha rallentato la crescita tumorale, ma ha fatto regredire i tumori anche dopo l’acquisizione di resistenza alle terapie farmacologiche standard».
È tuttavia importante seguire alla lettera le indicazioni dei medici che hanno in cura il paziente. Diete di questo tipo, infatti, possono spesso portare a condizioni di malnutrizione estremamente nocive, soprattutto ne caso di pazienti già indeboliti da altre patologie. È quindi necessario prevedere degli intervalli tra un ciclo e l’altro, che devono essere elaborati da specialisti del settore. Durante lo studio le pazienti in terapia ormonale hanno seguito i cicli di dieta per periodi di 6 mesi senza sviluppare alcun effetto collaterale degno di nota. In compenso si è potuto registrare un abbassamento dei livelli di glucosio, leptina, insulina e il fattore di crescita insulino-simile (IGF1): proteine che favoriscono la proliferazione delle cellule di tumore della mammella.
«Le modifiche metaboliche indotte dalla dieta mima-digiuno sono associate a effetti antitumorali positivi, che peraltro vengono mantenuti a lungo nel tempo – riprende Nencioni -. Ciò significa che questo regime di restrizione dietetica potrebbe essere un’arma in più per combattere il tumore della mammella nelle donne in terapia ormonale, senza il rischio di effetti collaterali seri. Abbiamo infatti osservato che il protocollo non compromette lo stato nutrizionale delle pazienti, se fra un ciclo di dieta e l’altro si prescrive un’alimentazione adeguata per evitare la malnutrizione e la perdita di peso».
Sempre nell’ambito dello studio, si è potuto anche verificare che una attività sportiva moderata consentiva di migliorare il rapporto tra massa grassa e massa magra, con ulteriori effetti benefici per lo stato di salute. «Si tratta ovviamente di risultati iniziali – conclude Nencioni -. Ma se saranno confermati da ulteriori studi clinici con numeri più ampi di pazienti, potrebbero aprire la strada a nuovi scenari nell’ambito delle terapie oncologiche integrate, diventando una strategia da abbinare alle consuete cure».