Tomás Pablo Paschero (1904-1986) fu formato nella sua pratica, tra gli altri, dal dottor Arthur Hill Grimmer (1874-1967), uno dei discepoli più importanti del dottor James Tyler Kent (1849-1916), e quell’incontro segnò l’omeopata argentino.
Kent fu l’erede di un’epoca d’oro dell’Omeopatia negli Stati Uniti e aggiunse la sua visione al vitalismo hahnemanniano, segnata da una forte influenza del pensatore svedese Emmanuel Swedenborg (1688-1772).
Allo stesso tempo, Paschero contribuì anche con il suo modo particolare di riflettere sulla filosofia omeopatica, che considera la terapia come una medicina umanistica.
Considero qui l’umanesimo nel suo senso generico, come una dottrina che rivendica la dignità umana, il carattere razionale e lo scopo dell’essere umano e, allo stesso tempo, sottolinea la sua autonomia, la sua libertà e la sua capacità di trasformare la storia e la società.
Hahnemann aveva già spiegato, nel noto paragrafo 9 del suo Organon, che l’Omeopatia doveva essere responsabile di mettere i malati in condizioni tali da sviluppare gli alti fini della loro esistenza.
Paschero si spinse oltre, proponendo un ideale senso di trascendenza del paziente.
La malattia appare allora come un condizionamento della libertà dell’essere umano, che nella sua sofferenza non è completamente libero di affrontare il proprio destino personale.
Siamo in un’epoca in cui si assiste a un sorprendente progresso tecnologico che ci riempie di interrogativi sul futuro dell’attività medica in generale e, naturalmente, anche della pratica dell’Omeopatia.
Recentemente ho fatto il seguente esperimento con Chat-GPT, l’applicazione di intelligenza artificiale che sta sorprendendo il mondo:
Quale rimedio utilizzato nella pratica medica presenta i seguenti sintomi, sviluppati in un proving?
Li elenco:
Ansietà di coscienza, Gelosia, Abbandono. La persona soffre il caldo e i vestiti sul collo lo infastidiscono.
I sintomi da te elencati, insieme alla sensazione di caldo e al fastidio dei vestiti sul collo, sono indicativi di un rimedio omeopatico chiamato Lachesis mutus, comunemente noto come Lachesis.
Lachesis deriva dal veleno del serpente “bushmasters” ed è usato in medicina omeopatica per trattare una varietà di sintomi, tra cui quelli legati all’ansia, alla gelosia, all’abbandono e al fastidio intorno al collo. Viene spesso prescritto quando una persona mostra tendenza alla loquacità, irrequietezza e senso di costrizione alla gola o al collo. Il rimedio è ritenuto particolarmente utile per le persone che sperimentano questi sintomi nel contesto di problemi emotivi o psicologici.
Dopo la sorpresa iniziale, mi sono ricomposto e ho chiesto:
Grazie per la risposta. E se il paziente avesse una gastrite e il resto della sua salute fosse a posto: quale dose e potenza di Lachesis indicheresti?
Non sono un medico, ma posso fornire alcune informazioni generali sui dosaggi e le potenze omeopatiche. Tuttavia, è importante sottolineare che i trattamenti omeopatici devono sempre essere prescritti e supervisionati da un operatore omeopatico qualificato o da un medico. I rimedi omeopatici sono preparati attraverso un processo di diluizione e succussione (agitazione vigorosa).
In omeopatia, è comune iniziare con una dose più bassa di Lachesis e poi aggiustare secondo le necessità in base alla risposta dell’individuo al rimedio. Un omeopata qualificato sarà in grado di guidarvi sul dosaggio e sulla potenza appropriati per il caso specifico.
A questo punto, ho pensato che potevo tendergli una trappola, dato che tutti i sintomi che gli ho dato sono coperti anche da Argentum nitricum.
Così, ho chiesto:
Grazie ancora. Indicheresti Lachesis, anche se il paziente soffre molto prima di sostenere un esame e non riesce a parlare davanti a un pubblico numeroso?
Lachesis può effettivamente essere un rimedio indicato per le persone che provano ansia e disagio legati al parlare in pubblico, all’ansia da esame e ad altre situazioni in cui devono esibirsi davanti a un pubblico numeroso.
Tuttavia, in Omeopatia, la scelta di un rimedio si basa su una valutazione olistica dei sintomi fisici, mentali ed emotivi del paziente, nonché della sua costituzione generale. Sebbene Lachesis possa corrispondere ad alcuni aspetti dei sintomi del paziente, è essenziale considerare la totalità del suo profilo di salute prima di consigliarlo.
Esistono altri rimedi omeopatici comunemente utilizzati per l’ansia da esame e la paura del palcoscenico, come Gelsemium, Argentum nitricum e Ignatia, tra gli altri. La scelta del rimedio dipenderà dai sintomi specifici e dalle caratteristiche individuali del paziente.
Anche se la Chat diabolica, giustamente e spesso, avverte della necessità di individualizzare e supervisionare da parte di un omeopata qualificato ogni caso da prescrivere, è inevitabile pensare che questo possa essere omesso da chiunque la consulti.
D’altra parte, cosa succederà tra 20 anni? La chat consiglierà ancora di consultare un omeopata?
Questi sono i tempi attuali, che sicuramente si approfondiranno in molti aspetti in futuro.
Cosa dovrebbe differenziare il compito di diagnosi e prescrizione affidato all’intelligenza artificiale (A.I.) dal compito di un medico omeopata?
Ciò che l’I.A. fa è, in modo ancora più efficiente di un praticante della nostra arte, una sorta di repertorizzazione meccanizzata.
Sebbene la chat avverta della necessità di considerare l’individualizzazione e la totalità sintomatica per la prescrizione, c’è un’aggiunta alla presa in carico del caso clinico che l’A.I. non raggiungerà mai. E nemmeno molti omeopati in tutto il mondo che non sono stati addestrati a questo scopo: si tratta della comprensione del caso clinico.
Kent ci avverte già correttamente nel suo commento al paragrafo 153 dell’Organon sul prendere i sintomi, senza considerare la loro coerenza nel paziente:
“(…) Il medico omeopata può pensare di avere il suo caso clinico trascritto molto bene, ma non sa se lo ha o meno finché non ha imparato l’idea di questo paragrafo.
Può avere una pagina dopo l’altra di sintomi e non sapere quale sia il rimedio, e se porta la documentazione a un maestro il maestro dirà:
“Non hai un caso”.
“Ma ho un sacco di sintomi!”
“Ma non hai un caso. Hai tralasciato il tuo caso, hai tralasciato l’immagine della malattia, perché non hai cercato di ottenere nulla che la caratterizzi. Hai molti sintomi, ma non hai nulla di caratteristico. Non hai preso il caso in modo corretto”.
La comprensione del caso non ha solo lo scopo di ottenere i sintomi omeopatici, sia che essi siano caratteristici e modalizzati, sia che essi siano caratteriali.
Capire sta nella comprensione di una possibile coerenza dei sintomi, tale da poter elaborare la diagnosi dell’immagine di un rimedio, che a sua volta presenta il proprio tema.
Infatti, anche i rimedi presentano una coerenza nei sintomi indotti nel proving [sperimentazione pura] o mostrati nella malattia clinica, tali da far emergere un’immagine e dei temi per la comprensione.
Tale comprensione non può essere sempre raggiunta quando si prende il caso e, soprattutto, non si deve “inventare” un’immagine che potrebbe corrispondere più alla fantasia del medico che alla realtà del paziente.
Come ho insistito in altre occasioni, dobbiamo distinguere l’atto di comprensione dall’atto di interpretazione.
La comprensione è una risorsa delle cosiddette scienze umane, come le chiamava Wilhelm Dilthey (1833-1911).
Utilizzata dalla filosofia ermeneutica, che propone un modo di conoscere il proprio oggetto di studio che si contrappone alla spiegazione scientifica, strumento delle scienze naturali.
La caratteristica della comprensione applicata al consulto medico in Omeopatia deriva dall’interazione tra il medico e il suo/la sua paziente.
In questo incontro, il medico raccoglie tutte le informazioni possibili che il paziente gli fornisce e cerca di cogliere una coerenza nella forma della sua esistenza in squilibrio: è lo squilibrio vitale che viene espresso dalla malattia cronica di cui il paziente soffre.
Questa coerenza viene ricercata anche nello studio dei rimedi, per tenerne conto nel caso in cui si manifesti nel caso clinico. Nello studio emergono temi, argomenti tipici di ogni rimedio, e nell’anamnesi il medico deve essere attento alla loro comparsa nel paziente.
Vediamo cosa ci dice Paschero sulla comprensione del caso clinico:
“La totalità dei sintomi che riflettono la malattia cronica non consiste in una somma di tutti i sintomi che il paziente ha, ma in qualcosa di diverso, di completamente nuovo, proprio come una melodia, una fuga, un accordo musicale è qualcosa di diverso dalle tonalità isolate che compongono. Dall’integrazione armonica dei sintomi è emerso qualcosa di nuovo che non è più nessuno di quei sintomi, né la somma di tutti”.
In un altro paragrafo, Paschero approfondisce la sua visione sulla natura della malattia cronica e sul suo approccio da parte del medico.
Se ci fermiamo al seguente passaggio, possiamo già intravedere diverse conseguenze:
“Il fatto inconfutabile è che di fronte alla malattia cronica, il medico ha a che fare con l’evidenza che ciò che è malato è l’uomo nella sua unità cosmo-socio-psico-biologica, cioè come entità che soffre di un conflitto di disadattamento all’ambiente cosmo-sociale in cui vive e che esprime tale conflitto nel linguaggio multiforme degli organi”.
Hahnemann esprimeva la teoria delle malattie croniche come quel tipo di squilibrio a cui ogni persona tende fin dalla nascita e che si esprime per tutta la vita.
Paschero colloca l’inizio della malattia (sottolineo qui il termine inizio, diverso dal termine origine) in un processo conflittuale di mancato adattamento, che si esprimerà poi nella materialità di una malattia organica.
Come si vede, Paschero non riduce la sua concezione dell’essere umano a quella di una componente psicofisica, ma allarga la sua visione alla sua relazione nella società, e persino al suo inserimento nel cosmo, cioè nella possibilità di un accompagnamento ritmico che la persona può compiere nei processi della natura.
Concludendo con questo paragrafo:
“L’uomo malato è un caso particolare ed è necessario capire perché si ammala e quale significato ontologico ha la malattia“.
Egli fa appello all’individualità di ogni vita umana e alla necessità che il medico omeopata comprenda l’origine essenziale (e non accidentale) della malattia, e che cosa significhi questa malattia nella sua essenza, sviluppata in questa particolare persona.
Paschero è stato criticato come medico omeopata “psicologico”, cioè che interpretava in modo errato Hahnemann e attribuiva ogni sintomo o malattia a un conflitto psichico della persona.
Come è noto, sebbene Hahnemann sia stato un pioniere nell’affrontare i pazienti psichiatrici in modo diverso dai duri metodi di cura del suo tempo, non riteneva che la malattia organica derivasse da un conflitto psichico.
Ma nemmeno Paschero aveva questa concezione, tipica della psicosomatica.
È evidente che molti non hanno compreso la concezione vitalistica che aveva il maestro argentino.
In molti passaggi della sua opera si evince la sua posizione in merito.
Guardiamo ad esempio questo paragrafo:
“Perché l’Omeopatia realizzi il suo autentico disegno hahnemanniano, deve aderire a questo senso antropologico che aspira a comprendere il paziente come un’unità biologica in azione. Non si può nemmeno dire che deve essere psicosomatica, perché questa parola mantiene ancora la dicotomia cartesiana di corpo e anima, tanto vicina alla bio-medicina scientifica quanto alle speculazioni della filosofia medica, entrambe in sterile lotta tra loro da campi assurdamente opposti”.
Come si nota qui, Paschero allude all’aspetto psicosomatico solo per superare il dualismo in un’unità di psiche e soma.
La posizione vitalista è diversa da quella psicosomatica, e Paschero lo sapeva bene.
Chi ha frainteso Paschero non ha saputo vedere la sua acuta visione antropologica, non avendo sufficienti conoscenze di antropologia filosofica per comprenderlo.
È vero che il maestro privilegiava la psiche come scenario più sottile in cui si manifesta lo squilibrio vitale, ma la psiche non è l’origine della malattia.
Vedremo di seguito qual è la ragione della preferenza di Paschero per i sintomi mentali.
Vediamo un lungo passaggio che analizzerò in parti:
“Non possiamo logicamente rifiutare l’idea che il nostro corpo fisico sia un’espressione della forza vitale divisa e limitata dalla mente di ogni singolo essere“.
Paschero presenta qui la sua concezione vitalista:
La Vita, con la maiuscola, è un continuum che comprende tutta la realtà, non solo quella organica ma anche quella inorganica.
Questa Vita universale si particolarizza in ogni entità, e nell’essere umano la coscienza fornisce al corpo fisico un limite individuale, e poi dirà:
“Possiamo accettare la mente come una prima, sottilissima condensazione dell’energia cosmica”.
Gli stati mentali di ogni persona, quindi, appaiono come manifestazioni individuali e materiali (anche se sottilissime) di una vita cosmica che si realizza così in un’esistenza individuale.
È interessante sottolineare l’insistenza di Paschero sull’inserimento della vita umana in una Vita cosmica che si dispiega.
La mente è un substrato privilegiato in questo dispiegamento, poiché è la parte più sottile e ontologicamente più vicina al dispiegamento della Vita.
Egli continua poi a mostrare nel paragrafo la gerarchia della mente sul corpo, anche se senza la possibilità, insisto, di una divisione tra i due.
Ci dice più avanti: “Ovviamente questa limitazione o divisione determina la formazione di un individuo, cioè di una personalità il cui primo substrato rappresentativo è la mente umana. In essa risiede l’io personale, la consapevolezza di essere limitato, come entità di governo del corpo”.
È la mente che fornisce la coscienza dell’identità individuale a ogni essere, con una certa personalità che si sviluppa e si percepisce.
Lì nasce un primo “Sé”, che è quello della psiche, ed è il Sé personale di ogni essere umano. Solo analiticamente possiamo separarlo dal corpo organico grossolano.
Questo Sé mentale è quello che si dispiega verso il Sé fisico e determina un movimento centrifugo:
“È un’evoluzione centrifuga dalla mente, che consideriamo la prima espressione fisica dell’energia, alle parti più pesanti dell’organismo. E questo flusso centrifugo dalla mente al corpo, dal centro alla periferia, dalla personalità più sottile, il sé mentale, a quella più grossolana, il sé fisico, è l’unica direzione possibile che la forza vitale segue per realizzare gli stadi evolutivi della manifestazione.”
Nell’essere umano, la Vita come forza vivificante si particolarizza in un essere individuale e, nel farlo, passa dalla sottigliezza di un sé mentale alla densificazione di un sé fisico, entrambi i sé coinvolti nello stesso movimento che è Universale nella Vita cosmica e Individuale nella vita umana.
Per Paschero, si tratta di tappe di un movimento di manifestazione che fa dispiegare la Vita.
C’è un movimento universale che produce manifestazioni individuali che nascono e muoiono successivamente.
Nel caso dell’essere umano, si tratta di una manifestazione della Vita che prende coscienza di sé, che si percepisce in un atto di autocoscienza.
Quando la Vita è insturata nel Sé mentale come sua più sottile rappresentazione nell’essere umano, e quando la malattia si manifesta, dal punto di vista dell’Omeopatia, nel flusso vitale, è inevitabile che ogni malattia influisca in qualche modo sulla psiche.
Per questo Paschero dice:
“Nella malattia lo stato mentale è sempre modificato, ed è nei sintomi psicologici che troveremo i sintomi determinanti che ci permettono di fare la diagnosi terapeutica per analogia con i farmaci della Materia Medica. (…)“
Ma avverte anche:
“(…) Resta inteso che dobbiamo sempre aggiungere al quadro mentale i sintomi generali e le modalità di quelli, poiché non dobbiamo mai dimenticare la caratteristica totale, e che quando ci sono pochi sintomi mentali definiti, dobbiamo usare quelli generali e le modalità, ma in misura maggiore o minore. In misura minore, l’aspetto psicologico costituisce la premessa fondamentale di tutte le storie cliniche”.
È chiaro che Paschero orientava la sua diagnosi del rimedio candidato alla cura in base al confronto tra i problemi esistenziali del paziente e il quadro sintomatico rappresentativo del rimedio.
Ma non trascurava la totalità dei sintomi, poiché sapeva perfettamente che la malattia si manifesta in modo caratteristico sia nel Sé mentale sottile sia nel Sé fisico denso.
È qui che nasce la confusione, poiché, se Paschero considera la mente come un centro operativo di dispiegamento centrifugo verso il corpo (ciò è chiaramente ripreso dalla concezione dottrinale di James Tyler Kent), l’evidenza della malattia deve inesorabilmente mostrarsi chiaramente nel comportamento e nell’esistenza del paziente. In realtà, Hahnemann ci avverte già del ruolo dell’alterazione del sentire e dell’agire in una malattia cronica, quando nella Prefazione alla sua Materia Medica Pura, in “Lo spirito della dottrina medica omeopatica” ci dice:
“(…) ciò che noi chiamiamo malattia, consiste in una condizione alterata originariamente solo nella sua sensibilità e nelle sue funzioni vitali, indipendentemente da ogni considerazione chimica o meccanica; in breve, deve consistere in una condizione dinamicamente alterata, in un mutato modo di essere, per cui un cambiamento nelle proprietà delle parti materiali che compongono il corpo è successivamente affetto, il che è una conseguenza necessaria della condizione morbosamente alterata dell’insieme vivente in ogni singolo caso”.
Ora, Paschero indicava anche un senso più profondo di guarigione che trascendeva i limiti di entrambi i Sé, il Sé psichico e il Sé fisico.
Continuando con la visione del mondo vitalista che aveva il fondatore della mia Scuola, il libero movimento della Vita attraverso l’essere umano avviene con una gerarchia e una direzione, e nella malattia proprio questo libero flusso centrifugo viene ostacolato, rallentando e persino causando l’inversione del movimento, dalla periferia al centro.
Il rimedio omeopatico tenta di sbloccare questi ostacoli e di allineare l’individuo al movimento universale della Vita.
Appare così un terzo Sé, il Sé trascendente, che sente il vuoto dell’essere limitato e la nostalgia del legame con un’Unità che lo trascende.
Paschero insiste spesso sulla salute come condizione di possibilità di raggiungere la trascendenza verso i propri simili e verso un’Unità superiore.
Non c’è tempo per parlare ora di questo desideratum dell’atto medico.
Sembra difficile continuare a mantenere il pensiero umanistico-medico oggi.
Siamo in un’epoca che ha trasceso il cosiddetto “transumanesimo”, per trasformarsi in “postumanesimo”.
Il transumanesimo prosegue le idee umanistiche dell’Illuminismo, ma lungi dal concepire la natura umana come un centro perfetto e completo a cui ogni essere umano deve tendere, propone un programma di miglioramento e cambiamento delle caratteristiche umane attraverso modifiche biologiche, tecnologiche e cognitive.
Per questo modo di pensare, le modifiche della materialità dell’essere umano attraverso la biologia sintetica, l’applicazione della tecnologia sull’organismo o sulla sua psiche cambieranno progressivamente ciò che si intende per essere umano.
Si nega quindi una natura umana essenziale e si scommette ottimisticamente che l’essere umano sarà sempre più perfetto o che le sue funzioni diventeranno sempre più efficienti.
Il postumanesimo, invece, sopprime l’essere umano dal suo status ontologico, etico e giuridico privilegiato. La base è che le scoperte scientifiche hanno già cancellato i confini tra gli esseri umani e gli altri esseri viventi, compresi gli esseri artificiali dotati di intelligenza, la cosiddetta intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale è la rivoluzione del nostro tempo, attraverso macchine computazionali che dispongono di milioni di dati e li elaborano con una logica implacabile e che presentano un adattamento che include l’apprendimento nell’interazione con gli esseri umani o con altre macchine.
Abbiamo visto all’inizio di questo articolo un esempio di ciò che sta già accadendo.
La nozione di “eccezionalismo” che definiva l’essere umano come entità privilegiata nel cosmo si sta perdendo, perché i limiti stanno diventando sempre più sfumati.
Quale sarà il compito del medico in un mondo futuro, a sua volta sostituito in gran parte del suo lavoro (se non in tutto, a seconda di come la biomedicina intende il ruolo del medico) da macchine che avranno una capacità diagnostica di gran lunga superiore?
Anche l’Omeopatia che si rivolge all’essere umano sotto i concetti di individualità e totalità: questo mondo di “macchine umane” influenzerà il suo lavoro?
Di fronte a questi approcci in cui la natura umana è offuscata e la tecnologia sembra dominare la scena, dobbiamo tornare a Paschero in termini di “paradigma del medico”, come lo ha definito Florencio Escardó che, come un visionario, ci dice in un paragrafo:
“L’uomo si sente solo e cerca il senso della sua esistenza, per vivere una vita in cui trovare la giustizia, l’amore e la pace, valori che non esistono in questo mondo nonostante il brillante apparato di macchine, computer e satelliti che la tecnologia moderna fornisce alla nostra vita esteriore, in contrasto con lo sviluppo della vita interiore che è ciò che rende l’uomo un autentico essere umano. L’uomo muore per il mondo e il mondo per lui, ma ciò che ha sentito, pensato e desiderato, realizzato come valori, tutto ciò è immortale e rimane nello spirito che non muore“.
Coltivare la vita interiore, il libero fluire della Vita e la coerenza con i movimenti del dispiegarsi del cosmo, l’apertura verso l’Altro e verso la Totalità, è patrimonio potenziale solo dell’essere umano, ed è ciò che fa la differenza e mantiene una certa immortalità per coloro che hanno lavorato su questi aspetti nella temporalità della loro esistenza umana.
I progressi della tecnologia possono influenzare positivamente o negativamente la vita “esteriore”, come la definisce Paschero, ma non possono mai sostituire la vita “interiore”, patrimonio di una soggettività che non può essere alienata da nessuna macchina.
Questo è il messaggio che Paschero ha lasciato nella sua vita fisica ed è quello che cerca di essere alla base dell’insegnamento della Escuela Médica Homeopática Argentina che porta il suo nome.
Concludo con una domanda che T. S. Elliot ci pose nel 1934, nell’opera teatrale The Rock:
“Dov’è la Vita che abbiamo perso nel vivere?
Dov’è la saggezza che abbiamo perso nella conoscenza?
Dov’è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?”.
3 commenti
Cosima Schirone
Ho letto e riletto con interesse questo articolo su Paschero, grazie per avercelo fatto conoscere un po’. È bello sapere che alla costruzione del pensiero Omeopatico hanno contribuito uomini con analisi e riflessioni così profonde, e con una sincera passione tesa alla comprensione umana e il suo benessere. E … come ci sostiene e rallegra Escardo’ … quello che il mondo ha sentito, il Pensiero, i Valori, il desiderio … è immortale e rimane nello spirito che non muore.
Ennio Caggiano
Molto interessante e molto utile, dovremmo far tesoro di queste informazioni
Generiamosalute
Grazie per l’apprezzamento dell’articolo. Paschero è una parte fondamentale della nostra eredità.