“La medicina deve trasformarsi nell’arte di vivere” ha scritto uno dei più acuti poeti romantici tedeschi, Novalis. L’auspicata riforma della Sanità dopo l’emergenza Coronavirus dovrebbe forse ripartire da qui, dal fatto che la medicina contemporanea ha perduto la capacità di essere un’arte di vivere.
La medicina è una scienza, ma anche un’arte. Intende combattere, ma anche prevenire le malattie. Prendendosi cura della salute, è un rimedio per i mali fisici, ma anche per ogni situazione difficile. La fatina porta la medicina al recalcitrante Pinocchio, che comprenderà l’importanza della medicina quando sarà lui a prendersi cura di Geppetto.
L’epoca della tecnica ha reso nuovamente la medicina guaritrice e salvavita, come alle origini era considerato guaritore lo sciamano. Ma il campo della medicina è proprio quello dell’arte che sta tra il miracolo e la guarigione.
La presunzione di poter guarire tutto con l’adeguata tecnologia, finanche l’invecchiamento se non la morte, è un violento misconoscimento dell’arte della medicina, arte del morire ed arte del vivere.
Le aspettative sul dopo Coronavirus ci ricordano che l’intenzione di guarire va oltre il ripristino dello stato prima della malattia, oltre il semplice ritorno alla normalità. La malattia è un’occasione di migliorarci. Come si poteva leggere nei giorni del lockdown su un muro di Hong Kong: Non torneremo alla normalità, perché era la normalità il problema.
Come ben ci ricorda Giorgio Cosmacini (Prima lezione di medicina, 2009), la restitutio ad integrum di una terapia non può prescindere dal prendersi cura della persona ammalata. To cure e to care non possono rimanere disgiunti. Non solo la chirurgia, ma anche la medicina terapeutica si è enormemente sviluppata, sia nella precisione degli strumenti di indagine sia nella ricca offerta farmacoterapica. Ciò però spesso a scapito della vicinanza del medico all’umanità del paziente, a scapito della sua comprensione del paziente, della totalità dei suoi sintomi. Proprio l’emergenza ha mostrato che le unità di terapia intensiva non sono più vantaggiose della cura domiciliare.
La cura della vita viene prima della cure della malattia
Il serpente dell’arte farmaceutica si attorciglia intorno al bastone di Asclepio, che simboleggia l’arte dietetica. Dìaita in greco significa regola di vita, intendendo la diligenza di avere cura costante della propria vita, l’arte di darsi delle regole, di scegliersi uno stile di vita salutare.
L’arte della medicina è di essere preventiva prima che riparativa. Prevenire è meglio che reprimere, ed è l’arte di ridurre le complicanze di una malattia, diagnosticarla in tempo, eliminare i fattori di rischio. Perciò occorre una tattica medica individualizzante ed una strategia sanitaria per la società nel suo complesso. Si vive bene in una società sana, mentre sono i malsani stili di vita indotti dalla società che provocano malattie. L’arte di vivere deve essere il migliore antidoto all’inquinamento, alle sofisticazioni alimentari, ad un lavoro più alienante che gratificante. E’ la sua stessa arte che rende la medicina sociale e politica.
L’arte è ciò che fa della medicina non una mera scienza, non una semplice tecnica. Un caso clinico è un mistero da risolvere ed una storia da raccontare. L’arte del medico è di comprendere il malato oltre che solamente conoscere la malattia. Prerogativa del medico è di dover prendere decisioni fondate su probabilità e non su certezze, assumersi anche dei rischi. Se la Evidence based Medicine cerca di ridurne l’arbitrarietà, non può la medicina essere la meccanica applicazione di protocolli.
La medicina individualizzata
E’ proprio della medicina poter fare della tecnica un mezzo, ma considerare come suo fine l’uomo. In questo senso deve essere intesa la rivalutazione della medicina generale rispetto a quella specialistica, una medicina del territorio di una comunità e una medicina del terreno di ciascun paziente, prima che un danno d’organo costringa ad ospedalizzarlo. Prima di dover richiedere il consenso informato, la medicina può avere il più alto valore educativo. Non solo come educazione sanitaria corretta, auspicabilmente gestita dalla scuola più che dai media. L’atto medico stesso è un atto educativo quando diviene anche la capacità di parlare con il paziente e di ascoltarlo. Ed anche di lì passa per i medici stessi l’Educazione Continuativa in Medicina.
Nell’omonimo film (2013) di Soderbergh, Effetti collaterali non sono tanto e non solo quelli di un farmaco antidepressivo sperimentale, ma quelli di una società che fa di quella sperimentazione una mera speculazione finanziaria. Non la medicina, evidentemente, è un male, ma la società che dimentica che la medicina è un’arte. Arte di vivere.
1 commento
Carlo Melodia
Ottima disamina.
La logica Scientista applicata alla medicina la ha ridotta a terapeutica di un presunto artefatto uniforme, il corpo umano, degradato da soggetto ad oggetto. Tutto ciò a chi giova?Allo stesso tempo anche il medico ha perso il senso ippocratico della unicità del malato diventando prescrittore acritico delle ultime llgg che si aggiornano in continuazione. Le osservazioni puntuali del dott. Mazziotti evidenziano che è ora di affrontare una seria riflessione nell’ambito della medicina.