Primo l’autore è un medico omeopata.
Secondo, o primo ex aequo se preferite, l’autore sa scrivere, e come se sa scrivere! Premio Bancarella 2002 con il romanzo d’esordio L’uomo che curava con i fiori (PIEMME). Nel 2003 ha pubblicato Il Fiore dell’Omeopata – Tre romanzi brevi (PIEMME) e nel 2018 Siddharta Rave (CAIRO). In perfetta fusione armonica, alterna il lavoro clinico a quello di scrittore e i suoi libri trasfigurano in forma letteraria ‘alta’ l’esperienza medica e umanistica.
Terzo il tema trattato nel libro: il lockdown durante la pandemia, colto in un microcosmo di personaggi residenti in un elegante condominio milanese, è semplicemente l’innesco, un pretesto per aiutarci a operare un’attenta autosservazione.
Tre motivi più che ottimi per leggerlo!
Il dio Pan, voce fuori campo e daimon ispiratore delle isterie degli uomini, quasi omonimo della tragedia virale che fa da scenografia all’opera. Untore e drone indiscreto che si intrufola nel palazzo in cui si svolge il racconto. Il Tutto, nel caso del romanzo, come abbiamo già sottolineato, evoca la pandemia, flagello mondiale che ha colto di sorpresa Oriente e Occidente. Naturalmente un dio può tutto, e Pan, monello olimpico, si diverte a osservare le disgrazie di tutto il Pianeta, prendendo a paradigma una particella del tutto, ovvero il particolare di sette alloggi e delle minime esistenze degli individui che li abitano, privati della libertà a causa del morbo. Tutto che li ha travolti.
L’inizio ricorda I duellanti, film di Ridley Scott tratto dal romanzo di Joseph Conrad, amici d’infanzia che la vita ha diviso. In questo caso i due medici, uno rigoroso interprete dei protocolli, e un omeopata viaggiatore e filosofo, metafora dello scontro tra tecno-medicina riduzionista e medicina della persona.
Ma non voglio fare né il riassunto né la sinossi del libro, voglio semplicemente comunicarvi il piacere che ho provato leggendolo.
Nel racconto ricco di spunti, si dipanano le descrizioni dei personaggi su più livelli, storie biopatografiche cesellate con arte, con l’attenzione alla totalità che solo un omeopata può raggiungere. E qui abbiamo la fortuna di leggere uno scrittore di valore che è anche un sofisticato medico omeopata.
Con Audisio si rischia la bulimia letteraria. Uno stile ricco, forbito ed essenziale al tempo stesso, a tratti sontuoso e poetico. Un’Art Nouveau della penna, impreziosita d’oro come un quadro di Klimt, in grado di trasportarti nella navigazione della fantasia su sentieri insperati. Una cultura classica e umanistica prorompente che sfugge da ogni dove e riempie di pennellate di acquerello delicato le pagine e l’immaginazione dei lettori.
Lavoro di editing minuzioso. Immagino l’autore che, smessi i panni ricercati del nobile settecentesco, con grembiule di cuoio e gli attrezzi di precisione, bulini, sgorbie, ceselli di artigiano orafo, lavora pazientemente il materiale grezzo, ottenendo gioielli di preziosa e creativa fattura. In essi vengono incastonati nei punti giusti cammei di colte citazioni e ironiche metafore cinematografiche e letterarie.
Il racconto della vita degli inquilini, spaccato di una società dolente e senza più un senso escatologico, si dipana con un perfetto ritmo di attenta anamnesi, vera e propria medicina narrativa elevata a rango di opera letteraria. Il male di vivere dei personaggi emerge in tutta la sua drammatica meschinità. Ci sarà la salvezza per qualcuno? Per saperlo dovrete acquistare il libro e vi assicuro che saranno soldi maledettamente ben spesi.
Chiudo lasciando la parola al narrante Pan: “Ho spezzato lo scorrere frenetico del mondo, obbligandovi al violento arresto dell’esteriorità consumistica. Da troppo tempo vagavate come pingui sonnambuli nei centri commerciali, pirati al mercato quotidiano, borseggiatori dei tesori della natura.”