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30 Marzo, 2021

La maschera: identità e sofferenza

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La comprensione della vecchia frase coniata in antropologia medica che “la malattia è un dialogo di ogni persona con la propria storia”, ci porta a considerare alcuni aspetti molto importanti che si verificano nel naturale sviluppo della vita di ciascuno di noi.

Considerare gesti che, sebbene non pensati, esternino e realizzino una parte inconscia di noi stessi (svelando improvvisamente le molteplici risposte a una delle domande) implica un dialogo nella nostra intimità. Un’attività ambiziosa, ricorrente e necessaria che gli esseri umani attuano in loro stessi spontaneamente e inavvertitamente che conduce alla domanda: Chi sono io e chi voglio essere? E anche perché non sono quello che voglio essere?

Tra una frase e l’altra, si svolge davanti ai nostri occhi il via vai delle nostre azioni, del nostro comportamento, dei nostri eventi, interni ed esterni. Si dipana il nostro essere ed il nostro vivere. La nostra realtà concreta e quotidiana. Cioè, i fatti. Cosa siamo e facciamo ogni giorno della nostra vita e come siamo e come lo facciamo, contrastando tante volte con ciò che “volevamo fare ed essere”. Come avremmo voluto farlo e/o come avremmo voluto essere. Insomma, un ingresso continuo nel grande teatro del mondo di ogni giorno dove si rende evidente l’armonia o la disarmonia, la coerenza o l’incoerenza tra la nostra maschera e la nostra identità, fra ciò che sembriamo e ciò in cui siamo coinvolti dalle mille ragioni e giustificazioni date a noi stessi. 

La maschera e la vita quotidiana

Parlare di maschera significa parlare di una figura che allude al volto umano. Un volto immaginario o di qualsivoglia animale con cui la persona può coprire tutto il suo viso per non essere scoperta o assumere le sembianze di un’altra persona. Questo è stato utilizzato da tempo immemorabile su base volontaria durante le feste, a scopo rituale rituale o difensivo.

Tuttavia, nel normale sviluppo della vita umana, un individuo, forma gradualmente la sua maschera fin dal momento della nascita. Lo fa naturalmente, per presentarsi agli altri. Perché gli “altri” sono i ricettori fondamentali della nostra vita; sono quello che ci permette di essere una relazione e di essere nella relazione e attraverso la connessione con l’altro. CI permette di scoprire veramente chi siamo. Perché credo che siamo costituiti “dall’altro e, l’altro”. Pertanto, parlare della maschera umana naturale non significa parlare di falsità. Significa parlare di espressione esterna di ciò che si è. Ciò che si manifesta dall’interno  in modo non verbale.

Gli esseri viventi non sono un amalgama inseparabile tra il visibile e l’invisibile. Siamo! Visibile e invisibile allo stesso tempo. Ad esempio, proprio in questo momento in cui scrivo, le lettere sono visibili, e il movimento che organizza le lettere secondo il mio pensiero è invisibile. Lo stesso messaggio che sta organizzando il pensiero, è invisibile.

Quindi parlare di maschera è parlare della nostra parte visibile, quella parte che si mostra e si conforma dal momento in cui una persona nasce per poter manifestare ciò che “è”: la sua parte non visibile. Manifestarsi a se stesso, agli altri, alla Vita. Il mio corpo prende inevitabilmente la forma di me stesso aggiungendo tutto, come in una scultura. Questa contiene tutti i movimenti e le esperienze che, attraverso questo corpo, faccio su me stesso ogni giorno. Se picchio un bambino, o accarezzo un fiore, viene scritto sul mio corpo.

Se faccio cose che mi appartengono, che riconosco perché mi soddisfano, cose che aprono la porta alla vera profondità del mio essere, anche se invisibile e sconosciuto a me stesso, esse riflettono questa bella vita, e così anche la mia maschera, il mio viso corporeo sarà tanto più armonioso e coerente con me stesso quanto più alto sarà il mio grado di soddisfazione interiore. Gli altri non vedranno un essere perfetto, ma veritiero e genuino. Fedele.

Malattia come la deformazione della maschera

In una persona sana c’è un’evidente armonia e coerenza tra ciò che è e ciò che sembra. In una persona malata, c’è una differenza tra quello che è e quello che sembra. Più è malato, maggiore è la distanza tra il suo essere invisibile, il suo sé, e il modo in cui si è manifestato nella vita e appare agli altri.

Ecco perché la malattia viene vissuta come una deformazione. Come una perdita della forma genuina, originale che ogni essere umano sente come ciò che gli  dovrebbe appartenere profondamente. Proprio dalle sue radici. Quello che dovrebbe riflettere veramente la persona in uno stato di vera salute. La sua forma migliore. La sua più grande appartenenza. Ed è proprio a questo punto che dobbiamo fermarci per capire cosa ci interessa come medici: l’importanza, l’organizzazione e il significato di questa deformazione nella vita di sofferenza, malattia e guarigione. La differenza tra la maschera e l’identità del nostro paziente, quell’essere umano che ci chiede aiuto.

Identità: dalla vita interiore alla realizzazione esteriore

Per questo dovremmo fare qualche riflessione sull’Identità per scoprire nel nostro paziente questo punto centrale del “dialogo della sua malattia con la propria storia”. Ebbene, come sappiamo, ogni essere vivente soffre secondo la sua specie e all’interno della sua specie secondo la sua natura unica. Il dialogo con la propria storia e la conformazione / deformazione della sua malattia dipenderà senza dubbio da chi è, dagli strumenti che ha, dai suoi obiettivi trascendenti invisibili, da come li sa usare. Della sua capacità di usarli. Dei trionfi o dei fallimenti nella battaglia quotidiana. Di ciò che intende compiere per dare giusta soddisfazione alla sua esistenza. Vale a dire, della sua realizzazione esteriore della sua vita interiore.

L’identità non è una scelta, è la realtà fondamentale e costitutiva di ogni essere vivente. Il suo stesso essere, così unico, caratterizzato e insostituibile che lo distinguerà sempre e per sempre nella storia dell’Universo. Ciò significa che questa identità governa ogni movimento di “essere ciò che deve essere” ciascuno. Cioè, non c’è possibilità che un essere vivente non abbia tutto ciò che gli serve, tutte le informazioni necessarie al suo interno per evolversi verso lo splendore e la realizzazione della sua possibile pienezza. Ovvero, non sanno “cosa devono fare ed essere” perché è scritto nella loro identità.

Quella conoscenza invisibile che si manifesterà attraverso il corpo visibile, quindi inevitabilmente carnale e spirituale, immanente e trascendente, di cui si compone la completa realtà della sua persona, sarà l’ago dell’equilibrio, attraverso i suoi desideri, tendenze, entusiasmi, passioni. e scelte fatte in modo giusto o sbagliato, che daranno voce a ciò che intendiamo per salute individuale del loro modo individuale di ammalarsi e di essere ammalato. In realtà, ciò che realmente si frappone tra la coerenza di quella maschera e quella identità dell’essere umano, sono le passioni che deteriorano l’anima e, come nel famoso ritratto di Dorian Gray,  deformano e invecchiano all’interno, anche se apparentemente, la finzione della maschera ne impedisce la sua visualizzazione.