“È necessario restare bambini pur essendo diventati adulti.”
Jung
È necessario recuperare la spontaneità, la creatività, la fantasia per equilibrare un mondo adulto, spesso svuotato, in cui viene a mancare l’entusiasmo, in cui non si sa godere del qui ed ora. Il bambino interiore è una parte della nostra personalità che resta sempre bambina, e che quindi mantiene in sé le caratteristiche legate al mondo dell’infanzia. È l’aspetto di noi che porta nella vita la giocosità, la creatività, lo stupore, il contatto con la luce interiore, ma anche il bisogno, la vulnerabilità.
La maggior parte degli adulti ha in sé un bambino interiore ferito, di cui i bisogni primari di accudimento, amore incondizionato e riconoscimento, non sono stati soddisfatti nell’infanzia. La ferita primordiale viene registrata nel cervello come “evento traumatico” associato ad un’emozione spiacevole, andando a minare l’autostima, la sicurezza di sè, l’autenticità, le relazioni.
Sarà lui a tenere le redini della vita, fino a quando l’adulto ne prenderà consapevolezza e lo accoglierà. Se non “sentito”, cercherà di farsi “conoscere” mostrandosi nei nostri sogni o attraverso disagi psicoemotivi, fisiologici. Perché, intorno a questa parte, nel corso della nostra crescita, si sviluppano il sistema protettivo, le nostre maschere, le nostre corazze. E tutto questo va bene. Viviamo in mezzo agli altri e dobbiamo anche saperci proteggere, ma il nostro sistema protettivo, spesso finisce per soffocare questa parte, fino a renderla inaccessibile. Non la sentiamo più, siamo ormai identificati con il mondo “dei grandi”, siamo adulti, siamo seri, siamo responsabili.
Però, il bambino interiore resiste e sopravvive, dentro e fuori di noi, anzi, se facciamo un passo indietro vediamo che fa parte della nostra civiltà da almeno 2000 anni. Si pensi ai miti, alle favole, da Pollicino a Cenerentola, a Hansel e Gretel, tutto ci parla di bambini maltrattati, abusati, di mostri e streghe cattive, ma pure di magia e salvezza, di redenzione e potere. Anche attraverso le favole e i miti noi recuperiamo il contatto con il nostro Bambino interiore. Questo avviene perché abbiamo la capacità di identificarci: tutti siamo stati piccoli ed indifesi, tutti siamo stati sgridati e abbiamo subito ingiustizie, tutti abbiamo avuto paura di perdere la sicurezza, l’approvazione, l’amore dei genitori, e tutti avremmo voluto, per magia, recuperare quell’amore, quel calore ed il benessere originario. Il Bambino interiore è quindi una realtà nella nostra struttura psicologica.
Carl Gustav Jung è stato il primo a parlarne nel 1912. È lui che conia il termine di “Puer aeternus” (eterno fanciullo) che sarà ripreso da altri psicologi e terapeuti dell’epoca, che addirittura ne parleranno come del “vero io”, del nostro “io reale”. Per Jung, il bambino rappresenta l’inizio e la fine, la creatura che esiste prima dell’uomo, ma anche la creatura finale, o meglio, una anticipazione di quello che la creatura sarà, una anticipazione della vita oltre la morte. Quindi, l’archetipo del fanciullo, è legato alla “nascita e rinascita”, a tutte le qualità di gioia e di creatività, ma può avere anche una connotazione negativa. L’allieva prediletta di Jung, M.L. Von Frantz prende in esame, nel suo libro il “Puer aeternus” proprio questo aspetto di ombra che può rivelare la parte bambina.
Infatti, se da un lato il bambino rappresenta il rinnovamento della vita, la spontaneità, ed una nuova apertura verso il futuro, dall’altro manifesta anche un aspetto distruttivo: l’infantilismo, che deve essere sacrificato per poter crescere. Ciò che porta l’adulto ad essere dipendente, pigro, a fuggire i problemi e le responsabilità della vita.
È come se il bambino interiore facesse i capricci, come se dicesse: “Voglio tutto, voglio averlo ad ogni costo e gli altri me lo devono dare.”
Conoscere il bambino interiore per poterlo valorizzare
Che l’adulto che utilizza, nel suo modo di essere, solo il bambino interiore, che lo mette in evidenza, può apparire sicuramente gioioso, simpatico, compagnone, con una grande facilità di rapporti, ma può essere totalmente incapace di prendere decisioni, di assumersi delle responsabilità, di sacrificarsi, di fare le cose regolarmente. È una persona cara, ma ha sempre bisogno di qualcuno a cui appoggiarsi, che non sa accudirsi e cavarsela da solo.
Allora, crescere e diventare adulti è necessario, è buono.
Ma come crescere e diventare adulti, senza perdere il senso della totalità, della creatività, come uscire dalla vita fantastica dell’infanzia mantenendo intatti i valori del bambino?
Bisogna conoscere il proprio bambino interiore nelle sue contraddizioni, nei suoi aspetti molteplici, nel suoi lati luminosi e di ombra, non c’è altra strada. Conoscere, riconoscere, accettare questa parte di noi, farla fiorire per recuperarne le qualità.
“È necessario restare bambini pur essendo diventati adulti.”
Aldo Carotenuto.
Recuperare la spontaneità, la creatività, la fantasia, l’equilibrio nel mondo adulto, significa quindi non vergognarsi ad esprimere le proprie emozioni, a chiedere, a non cristallizzare il dolore, il rifiuto, lo scompenso.
Cristo: “Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli.”
Nei sogni lo stato di salute del nostro bambino interiore
E diventare come bambini significa proprio nutrire il nostro bambino interiore, recuperare lo sguardo infantile, lo sguardo incantato. Il bambino è l’apertura nei confronti del mondo e nei confronti degli altri, è la spinta verso la vita e verso lo spirito. Ma proprio quando appare nei sogni, il bambino interiore mostra tutte le sue innumerevoli sfaccettature: bambino felice, bambino ferito, bambino capriccioso, bambino invadente, bambino giocoso, bambino tenero, bambino arrabbiato, bambino spirituale, bambino magico.
Cominciare, attraverso i nostri sogni, a comprendere lo stato di benessere o malessere del nostro bambino interiore, è un’avventura che può riservarci molte sorprese, aprendoci alla possibilità di riaccordarci rispetto a ciò che stona. Una delle prime cose che si notano, ad esempio, quando si consigliano rimedi floriterapici corrispondenti a determinate vulnerabilità, sono proprio i sogni. Il paziente tende a sognare tantissimo e a ricordare questi suoi sogni, ricchi di particolari, che lo ricollegano a luoghi o ad eventi dell’infanzia. Una vera elaborazione.
E con quanta puntualità intervengono sul piano psico fisico emotivo individuale i rimedi omeopatici, evitando che circostanze particolari amplifichino questi disagi, con il rischio possano assumere dimensioni completamente diverse, poiché non “riconosciuti” o sottovalutati.
Attraverso i disagi, il bambino interiore tenta di esprimersi nei blocchi emotivi, di rappresentarsi e rappresentare da dove e da chi arrivi la ferita, il soffocamento.
Ecco che allora “curare” il bambino interiore significa trattare con Amore e rispetto le sue fragilità, debolezze e mancanze, prendendone consapevolezza, affinché non si perda il benessere, la gioia di vivere, la luce negli occhi, il senso dell’esistenza, il presente, legati ad ogni ciclo ed esperienza.