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13 Giugno, 2020

Immuni sì, ma fino a un certo punto…

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L’app Immuni sbarca in Italia, Pronti, via, ed è subito problema tecnico. Al suo debutto, infatti, non era disponibile nell’app store dei telefoni Huawei. Il problema è stato subito risolto, e, a dire il vero, non è certo strano che un programma abbia dei bug al suo rilascio. Ma, per quanto la circostanza sia molto frequente, certo fa sorgere qualche dubbio sull’ottimizzazione realizzata in tutti questi lunghi mesi. Perché, non dimentichiamolo, Immuni sarebbe dovuta intervenire mesi fa, nel pieno dell’emergenza, come app simili sono intervenute in tanti altri luoghi del mondo. Ma si sa, siamo l’Italia, non c’è nulla che entri a regime nei tempi previsti.

In realtà, se analizziamo con attenzione il vespaio di polemiche che si è sollevato, tra chi ne ha sostenuto l’indispensabilità e chi ha levato gli scudi contro il suo utilizzo spaventato dalle ripercussioni sulla propria privacy (o, a sentire qualcuno, addirittura sulla propria libertà), scopriremo che il nocciolo della questione è proprio questo: la fiducia che si ha nell’Italia. Abbiamo sentito tutti, in questi giorni, che perché Immuni possa essere efficace deve essere scaricata da almeno il 60 per cento della popolazione. Parliamo di un numero gigantesco, che comrpende categorie, come gli anziani, che spesso non hanno smartphone o che a stento sanno come si digitino i numeri. Per capirci, Whatsapp, una delle app più diffuse in Italia, arriva appena a sfiorare quella cifra, essendo utilizzata dal 59 per centro della popolazione. Come può allora Immuni dove Whatsapp ha fallito? C’è poco da fare, è una missione impossibile. Ciò nonostante, se il 60 resta irragiungibile, già un 40 per cento sarebbe un ottimo risultato. In altri luoghi, dove la fiducia nelle istituzioni è molto più alta di quella in Italia, il risultato è stato raggiunto in pochi giorni. Da noi, però, la cosa è un po’ diversa. Perché i dati che l’app dovrebbe racccogliere sono dati molto sensibili (informazioni di carattere medico possono avere ripercussioni molto più pesanti che i nostri gusti in fatto di cibo o automobili) e, in fondo, noi siamo sempre la nazione dove il sito dell’INPS, pagato al prezzo di una navicella spaziale, è stato bucato in poche ore quando c’è stato bisogno di lui. Stavolta, a onor del vero, sembrerebbe che almeno per quanto rigarda la questione privacy le cose siano state fatto per bene: dati non centralizzati, inserimento della positività volontario e crittografia dei dati. Alzi la mano, però, chi si sente rassicurato al 100%.

 

 

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