Le notizie sui fatti di Wuhan che pervadono ogni ordine di media e ci bombardano senza sosta rendono i nostri nervi scoperti. Gli stessi media, o almeno molti di essi, non contribuiscono a semplificare le cose. Le parole contagio, epidemia, pandemia si insinuano profondamente nelle nostre menti e anche più profondamente, portatrici di presagi funesti. Evocano la memoria di momenti terribili della storia umana.
Ma a chi devo credere?
Non è il caso di drammatizzare le situazioni e certamente neanche sottovalutarle. Dobbiamo mantenere le reazioni nell’ambito della logica e nel quadro dello stato delle cose. Già… lo stato delle cose; ma quali di quelle che sentiamo? La posizione scientifica, a volte in aperto contrasto, degli esperti o quella percepita dalla società? Sì, perché tra le due c’è uno iato gigantesco. Dalla pacata attenzione degli organismi sanitari e dei virologi, al buio profondo del contagio diffuso ed inarrestabile. La pandemia!
A volte reagiscono meglio di noi gli animali
Quel distacco ci da lo spunto per una riflessione su come l’uomo abbia tradotto gli istinti naturali di sopravvivenza e conservazione della specie in sindromi paranoiche più o meno estreme. I comportamenti animali, in sintonia con la natura, mantengono anche nei casi in cui è a rischio la sopravvivenza della specie una coerenza di fondo. Pericolo immediato: fuga. Pericolo percepito lontano: calma, ma attenzione desta.
Per noi non è più così. Millenni di evoluzione ci hanno condotto a costruire su questi istinti costrutti e comportamenti non sempre coerenti. Fatto che diviene ancora più evidente quando guardiamo le reazioni di gruppo, direi di branco, per rimanere in campo etologico. A queste dinamiche, purtroppo non vengono meno i politici, che nonostante il loro ruolo rimangono contagiati dal terribile virus della paura, se non da quello della stupidità. Un caso su tutti, il governatore della Lombardia, che in una dichiarazione rilasciata ad Adnkronos, attribuiva i “tanti” casi in Lombardia alle “feste del capodanno cinese e quindi un notevole numero di cittadini italiani di origini cinesi rientrato”, o che da il meglio di sé dando la notizia del contagio del suo staff per poi indossare la mascherina in diretta nazionale, ovviamente sul suo profilo Facebook!
Le epidemie tra il corpo e l’anima
Diventa particolarmente interessante la visione di un antropologo che stigmatizza e ci inchioda ad una triste verità, la nostra organizzazione sociale rimane, ancora oggi soggiogata da paure ancestrali, da umori antichi. Il professor Marino Niola, come sempre, anche in questo frangente, dipinge con i suoi toni vivi e vibranti le paure profonde che si annidano dentro la psicosi da coronavirus. Le epidemie espongono non solo i nostri corpi, ma anche le nostre anime, lasciando emergere tutti i nostri timori profondi. I miasmi dell’anima che abbiamo alimentato o trascurato nei periodi di salute del corpo collettivo.
Il presentimento scaturito dall’anima, prende il sopravvento sulla ragione. Così ci barrichiamo in casa, svuotiamo i supermercati per fare scorte di provviste improbabili, il più delle volte inutili.
Viene da chiedersi quanto è lontana la peste milanese del ‘600 o l’influenza spagnola del primo decennio del ‘900? Quanto siamo diversi noi da quei cittadini milanesi descritti dal Manzoni nei Promessi Sposi, nelle pagine dedicate della peste? Forse l’unica differenza risiede nella velocità con cui la paura, grazie a media e social-media digitali, ci raggiunge in ogni remoto angolo del pianeta. Aumentano le vendite dei quotidiani cartacei, abbiamo sete di notizie, Aspettiamo lo speciale del TG sullo stato dell’epidemia. Ci alimentiamo di notizie che anche quando non sono catastrofiche ci appaiono tali, o soccombiamo davanti al sensazionalismo “artistico” delle testate giornalistiche e delle televisioni (non tutte per fortuna). Questa dinamica alimenta quel miasma dell’anima, rendendoci vittime del contagio a nostra insaputa. Così, conclude l’antropologo, in casi come questo, dove l’anima è esposta più di quanto non lo sia il corpo, necessitano due antivirali, uno per il corpo e uno per l’anima.
La consapevolezza sul proprio stato di salute aiuta ad evitare il “contagio”
Non tutti sono esposti allo stesso modo. Cosa rende diversi gli uni dagli altri? Cosa porta alcuni a drammatizzare eventi che di per sè tragici non lo sono? Domande a cui non possiamo dare risposte esaustive; eppure sembra di notare un maggiore equilibrio in chi utilizza metodi di cura della salute più olistici. Dove i concetti di terreno individuale, sistema immunitario, resistenza alle infezioni sono più ampiamente conosciuti, accettati e messi in pratica nel quotidiano. La consapevolezza sui meccanismi che regolano la propria salute porta come primo effetto l’immunità dal virus della paura. Non bisogna essere medici, per comprendersi, ma avere coscienza di come il proprio sistema, corpo, mente e spirito, funzioni. Questa consapevolezza un paziente omeopatico, generalmente, la sviluppa nel corso del tempo. Essa contribuisce a diminuire quei presentimenti, di cui parlava il professor Niola, evitando così, almeno in questo caso, il contagio più grave, quello dell’anima.