Un altro possibile pasticciaccio brutto tra Big Pharma, Politica e strutture pubbliche. Ancora una volta si parla di affidamenti diretti da istituti pubblici ad aziende private, in questo caso inquadrati in uno dei periodi più neri che l’Italia ricordi, quanto meno dal punto di vista sanitario. A rivelarla in questo caso è stato Il Fatto Quotidiano, che ha acceso un faro sui rapporti che legano l’ospedale San Matteo, che in qualità di Irccs (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico) è un ente pubblico, e la quotata in borsa piemontese Diasorin, attiva nel campo della diagnostica molecolare. E che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici dell’uno e dell’altra da parte della procura di Pavia. Secondo gli investigatori lombardi potrebbero configurarsi i reati di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e peculato. La faccenda è di quelle grosse, perché riguarda lo sviluppo di test sierologici e molecolari per l’individuazione degli anticorpi per il Sars-Cov-2, e che sarebbero poi serviti per la mappatura sierologica dei positivi al Covid in Lombardia. In pratica, secondo gli investigatori, I vertici del San Matteo avrebbero affidato per via diretta a Diasorin lo sviluppo di questo tipo di test, senza realizzare una gara pubblica d’appalto come previsto per questi casi, ricevendo in cambio 50mila euro e l’1% di quanto ricavato dai test. Per i pm di Pavia, nell’accordo tra il San Matteo e Diasorin per i test per diagnosi da Covid sarebbero stati “utilizzati beni mobili, materiali (personale, laboratori e strumenti) e immateriali (conoscenze scientifiche tecnologiche e professionalità) costituenti patrimonio indisponibile dell’ente pubblico e così sottratti alla destinazione pubblica per il soddisfacimento di interessi privatistici che restavano nell’esclusiva titolarità di privati, anziché dell’Ente che aveva finanziato la ricerca”. Le perquisizioni negli uffici dei due istituti da parte della Guardia di Finanza procedono freneticamente, in contemporanea all’audizione di tutti coloro che hanno partecipato al progetto. La vicenda è balzata agli onori delle cronache per il ricorso presentato al Tar da TechnoGenetics, la società concorrente alla Diasorin che si ritiene ingiustamente danneggiata da quello che definisce “un del tutto inedito partenariato pubblico-privato”.
Non è tutto. Sempre secondo il Fatto Quotidiano il professor Fausto Baldanti, che guidava il team del Policlinico che ha realizzato il progetto insieme a Diasorin, potrebbe essere stato in forte conflitto d’interessi. Baldanti, infatti, faceva parte del gruppo di lavoro del Comitato tecnico scientifico del Consiglio superiore della Sanità e di un organismo di lavoro messo in piedi dalla Regione Lombardia, che avevano il compito di valutare la qualità dei test sierologici, compreso quello sul quale lui stesso lavorava. Dopo l’inchiesta, il professor Baldanti ha rivendicato la correttezza del proprio operato ma si è dimesso dai gruppi di lavoro. Ma neanche questo aspetto esaurisce i possibili scandali legati alla vicenda. Perché c’è un ulteriore aspetto che gli inquirenti ritengono di dover approfondire. Si tratta del presunto ostruzionismo esercitato dai vertici della Lega verso gli amministratori locali che avevano scelto test diversi da quello Diasorin-San Matteo, espressamente validato dalla Regione Lombardia. Atteggiamento che avrebbe favorito economicamente Diasorin rispetto alle aziende concorrenti. I Pm scrivono espressamente che diversi amministratori locali che sono stati ascoltati per sommarie informazioni testimoniali “hanno riferito di atteggiamenti a dir poco ostruzionistici nei loro confronti da parte di esponenti politici regionali della Lega Nord”. Tra gli amministratori sentiti ci sono in particolare i sindaci di Cisliano e quello di Robbio, nel Pavese. A tal proposito il sindaco di Robbio era stato già intervistato a maggio dalla testata Fanpage, alla quale aveva riferito delle difficoltà che aveva avuto nel fare testare i suoi cittadini da un’azienda concorrente, con l’ulteriore danno alla Salute globale dato dal fatto che i cittadini che avevano sviluppato gli anticorpi non potevano donare il plasma, utilissimo nella cura del COVID19, perché non riconosciuto dalla Regione (nonostante fosse invece quello utilizzato ufficialmente in Veneto, Emilia e altrove).