Forse quest’anno la giornata mondiale del morbo di Alzheimer, che cade il 21 settembre, potrebbe portare una buona notizia per le tante persone afflitte da questa malattia. Un nuovo studio proveniente dall’Australia potrebbe infatti aver fatto luce sui meccanismi all’origine di questa terribile patologia. Un male debilitante, terribile, fonte di grandi sofferenze per colui che ne soffre e per tutti coloro che gli stanno attorno. E, peraltro, di larghissima diffusione tra le persone in terza età.
Nella giornata mondiale dell’Alzheimer arriva una buona notizia
Secondo lo studio condotto dai ricercatori dell’Università Curtin di Perth la causa del morbo potrebbe essere la dispersione di particelle grasse dal sangue al cervello. Queste particelle trasportano proteine tossiche beta-amiloidi, il cui accumulo progressivo era già noto come causa (o concausa) del morbo di Alzheimer. Fino ad oggi, però non era chiaro come tali proteine fossero generate, o come arrivassero nel cervello. John Mamo, direttore del Curtin Health Innovation Research Institute e firmatario dello studio, è fiducioso che tale scoperta possa portare ad un cambio di passo nelle terapie.
Il nuovo studio proveniente dall’Australia
“La nostra ricerca mostra che questi depositi di proteine tossiche molto probabilmente vengono diffuse nel cervello da particelle nel sangue portatrici di grasso, le lipoproteine – ha dichiarato Mamo – Questo percorso dal sangue al cervello è significativo, perché se si potranno controllare i livelli di lipoproteine amiloidi nel sangue e prevenire la loro dispersione, si apre la strada a nuovi potenziali trattamenti per prevenire il morbo di Alzheimer e la perdita di memoria”.
Nuovi approcci terapeutici all’orizzonte e ruolo della dieta
Non è tutto. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista PLOS Biology, le nuove scoperte, se confermate, potrebbero mostrare come l’alimentazione abbia un ruolo fondamentale nello sviluppo della malattia. Secondo Mamo la prevenzione sarebbe possibile “attraverso la dieta della persona e con farmaci che possano specificamente puntare alle lipoproteine amiloidi, riducendo il rischio o almeno rallentando il progredire della malattia”. Il professor Warren Harding, presidente dell’Alzheimer’s WA, questa ricerca potrebbe avere un impatto enorme sulla vita delle tantissime persone che soffrono di Alzheimer nel mondo.
LEGGI ANCHE:
Contrastare l’Alzheimer con una vita sana
I test per l’Alzheimer vanno cambiati?