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15 Giugno, 2021

Amare se stesso. Compiacimento….. o compimento? (5° e ultima parte)

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Le riflessioni più importanti su tutto ciò che è scritto nei due articoli precedenti hanno a che fare con: la potenza della patologia cronica  ereditaria  (riconosciuta in omeopatia come la complessità miasmatica ereditata dal paziente), e l’efficacia del rimedio omeopatico che è stata sintetizzata in un decalogo 

-1- Togliere i dolori del corpo.

-2- Togliere i dolori dell’anima.

-3- Restituire la salute individuale di ogni persona.

-4- Correggere, stimolare e potenziare la risposta del Sistema Immunitario.

-5- Aumentare la resistenza e la Forza Vitale di ogni organismo.

-6- Agire sempre sulla “totalità” della sofferenza del paziente.

-7- Modificare e guarire progressivamente la predisposizione patologica ereditaria.

-8- Provocare un salto di livello di coscienza rinnovando la totalità biologica individuale.

-9- Attivare la vera Medicina Preventiva liberando il paziente dai suoi condizionamenti.

-10- Sradicare la malattia acuta e cronica in modo veloce, soave e permanente dentro delle possibilità biologiche di ogni persona sofferente.

Vediamo come queste cose si possano muovere insieme nel caso di un mio paziente. La sua evoluzione ed orientamento verso il suo “finale felice”.

La patologia profonda significa il “modo di essere e di soffrire la vita” in modo limitato, segnato dalla storia dei nostri antenati con tutto ciò che ognuno di loro, non aveva potuto, non aveva saputo o non aveva voluto correggere, modificare, guarire o curare in relazione a quanto lo faceva soffrire lo rendeva malato. Qualcosa in gran parte involontaria, e qualche altra volontaria; possiamo dire con una responsabilità individuale, come tutti noi,  che ci troviamo di fronte a ciò che vediamo, agiamo e ci succede nella vita.

Come vediamo nella storia del nostro caro Maurizio che a 12 anni mostra il suo sano interesse di avventura nella vita e vuole essere “un grande”, una cosa magnifica e nella sua pubertà e nell’adolescenza trova un modello da seguire ed imitare, degno di ammirazione, e per un po’ va avanti con soddisfazione.

Tuttavia, ai primi colpi delle  battaglie della vita, si scontra con il potere limitante della sua patologia ereditata. Non si riprende dalle ferite. E mostra l’enorme ombra del suo non essere. 

Il suo desiderio di “raggiungere il TRIONFO” si scontra con la sua realtà. Le cose cambiano. I valori vengono trasformati. La vita si altera.  Invece del suo trionfale desiderio, il suo orizzonte futuro, la sua aspirazione ancora insoddisfatta, sapendo umilmente che c’é ancora tutto da fare, si scontra con il suo orgoglio, con la sua  anticipata pretesa, con il suo senso di inferiorità non accettato ed il suo bisogno di essere super apprezzato con o senza ragione, con l’idea di meritare ciò che non è ancora stato in grado di conquistare e con la sua piccolezza, la sua mancanza di grazia, i suoi sbagli, la sua ostinata paura della solitudine, la sua testardaggine, il suo bisogno di pagare qualsiasi prezzo per ottenere la stima che desidera, ed essere ascoltato e adulato in ciò che decide, senza considerare se ciò sia buono o meno. Con la sua gratuita sfida nei confronti del più difficile, piu’ inadeguato e piu’ dannoso, evidentemente impossibile agli occhi degli altri, perché fallacemente egli è pieno di sé, del “sogno” di un se stesso trionfante che lo ha completamente accecato di fronte all’immagine insopportabile della sua meschinità.

Il binomio patologia/comportamento  dove non si sa bene se la patologia si traduce in comportamenti inappropriati e di conseguenza la sofferenza; o se è il comportamento inappropriato e pieno di sofferenza a generare la patologia e la sofferenza.

Nel caso di Maurizio la catena tra le due cose è chiaramente visibile. Il “modo di essere” ereditato e patologico (pathos-sofferenza e logos-discorso) da solo ha generato un modo di vedere, sentire, comprendere i fatti della vita e decidere di fare ciò che vuole, in modalità “fatale”, generando un grande “pathos”, cioè una grande sofferenza, un grande dolore continuo ed un “crescendo”, sempre in aumento ed ampliato con una inevitabile sofferenza . Ovvero, un comportamento che a sua volta ha causato un’immensa sofferenza a se stesso e a coloro che lo circondavano, dove le sue difficoltà sono aumentate all’estremo, prima fisicamente e poi moralmente e vitalmente, generando una catena di dolore senza limiti fino a “toccare il fondo”. Fino al fallimento totale.  Un fondo dal quale, come era evidente, c’erano poche speranze di poterne uscire fuori.

Dal suo primo fatale innamoramento  all’età di 17 anni, nonostante la sua giovane età, la  patologia lo ha portato non a superare la situazione ma a morirne un po’: operato e annullato come pianista, fu quindi  anche annullata la sua aspirazione fondamentale e sana della vita.

Questa divenne la Causa sufficiente ed Occasionale per scatenare tutta la patologia ereditaria latente, che nel linguaggio popolare  si esprime come “il peggio di se stesso”.

Si e’ trascinato fino all’età di 25 anni, accumulando solitudine, paura e frustrazione con svariati  tentativi di andare avanti, permeati solo nella sua idea fissa di “grandezza” all’interno delle possibili nuove prospettive che aveva scelto, anche se rifiutava di farsi nuovi amici per il suo carattere pretenzioso.

Involontariamente, inconsciamente, senza volerlo e pur volendolo, come figlio culturale del masochismo storico ufficiale del Mediterraneo, Maurizio (chiamato il Moro) scelse il miglior carnefice, e non solo uno!. Scelse la migliore famiglia di sadici uniti e organizzati, secondo la forza e l’enorme falsa percezione personale manifestata nel suo “delirio di grandezza”. Così a 25 anni diventa il fidanzato dell’attuale moglie con cui ha il primo figlio l’anno successivo. Figlio che lei decide di abortire, perché lei “non vuole” né lui né il figlio e Maurizio, non solo accetta, ma anche ostinatamente  dichiara, come se “fossero uniti per sempre”…

Quindi segue la storia ai nostri giorni in cui ha già 36 anni di orrore, tormento, disprezzo e dolore senza una via d’uscita o possibilità di un vero cambiamento. L’unica differenza è che ora ha una bambina di 3 anni, vittima e trofeo, che costituirà il motivo della sua prossima battaglia di vita, in meglio o in peggio.

Come vediamo chiaramente l’idea di compiacenza in Maurizio è stata fraintesa, sentita e vissuta, come lo è nella maggior parte di noi.  Ha confuso la soddisfazione dei suoi desideri fisici e morali primari e anche  superficiali con  la compiutezza. Con la necessità di soddisfare la profonda fame di essere, dando i suoi frutti al meglio. E imparando dal dolore della vita attraverso il nostro comportamento personale o ereditato, cio’ che è inadeguato alla nostra massima pienezza. Qualcosa che non sempre coincide con lo stesso benessere immediato, ma sviluppando le nostre molteplici virtù nascoste, le nostre capacità, per poter sviluppare una vita che nel tempo ci porta a soddisfare il nostro vero desiderio, la nostra profonda aspirazione all’interno delle nostre possibilità. Diventa inevitabile imparare la differenza tra sopportare e sacrificare.   

Sopportare è un atto di castrazione e di impotenza soppressiva che inevitabilmente, a lungo termine, ci fa ammalare. 

Sacrificare è un atto libero, personale e generoso per ottenere un bene maggiore. È una decisione di darsi all’altro o agli altri per condivider-si e condividere un bene maggiore. Ed in tempi lunghi permette alla persona di crescere e maturare.

In questo momento molto grave è arrivato l’aiuto dell’Omeopatia.

Come ho spiegato, gli è stato dato l’Aurum Metallicum. Fu scelto per la grande depressione, senso di annullamento al massimo della svalutazione, e per i pensieri suicidi.

La potenza scelta in funzione del piano di sofferenza era 6LM. Un potere profondo ma delicato con la possibilità di ripetere.

La frequenza, in funzione della stabilità del quadro della sofferenza e anche in funzione della natura dell’Aurum metallo profondo e costituzionale, era di 3 granuli ogni tre giorni per circa 4 volte e poi ri-rivederlo.

La quantità di 3 granuli è stata determinata dall’evidenza di essere normosensibile allo stimolo e non particolarmente ricettivo, come si vede nelle sue reazioni agli stimoli della vita.

 Dopo i 15 giorni, non è tornato, ma sua madre mi ha detto che qualcosa era cambiato. Per la prima volta Maurizio si era rivolto ad un avvocato ed aveva preso la decisione di iniziare le pratiche per il divorzio, aspettando solo le condizioni più favorevoli per il bambino e per essere lei stesso sicuro che non gli togliessero la creatura,  dal momento che i suoi suoceri e la moglie avrebbero potuto fare qualsiasi cosa ed affermare qualsiasi falsa accusa nei suoi confronti, come abusi sessuali o violenze di ogni genere o altre cose assolutamente inesistenti.

Due mesi dopo Mauro era triste, ma non depresso e annullato. Aveva toccato con mano i suoi limiti , ma anche le sue possibilità. Una forza misteriosa era nata dentro di lui dopo l’Aurum.

Più maturo, più uomo, più padre e meno marito-servo. Umiliato ma non piegato grazie alla presenza di sua figlia, tutto ciò che aveva vissuto gli aveva fatto superare la paura della solitudine a causa della paura della morte di se stesso e di sua figlia. Superare la vera paura della morte vitale che per anni aveva assaporato amaramente e per la cui amarezza, inconsciamente, aveva dato alla figlia il nome  Mara. 

Oggi sa di dover decidere di vivere tenacemente come aveva inavvertitamente, fino ad ora, deciso di morire. 

Le sofferenze attuali tradotte in sintomi si manifestano in immensa tristezza per la situazione della sua bambina quando la vede spaventata e persa. Per la situazione di sua madre, quando la vede agire come una cameriera a casa dei tiranni, come per lui nel rischio della perdita del bambino. Per l’impossibilità di risolvere immediatamente. Nel suo silenzioso e solitario pianto, nei suoi sospiri involontari, nelle sue notti insonni con irrequietezza e sbadigli continui che non lo lasciavano riposare. Nel suo dolore di testa come un chiodo affondato nella tempia e nella sua astenia, la sua stanchezza nervosa. 

Ignatia Amara XMK 3 gr ogni 3 giorni per diverse volte lo ha fatto uscire dal suo lutto.

Un mese dopo, tornò più intero, più sicuro e più forte per conquistare ciò che aveva perduto all’interno del suo naturale temperamento silenzioso e riservato. Aveva recuperato qualcosa di fondamentale perso da molto tempo o che forse non avrebbe mai conosciuto: la DIGNITÀ.

Un cocktail tra l’estrema sofferenza, la paternità e l’Omeopatia, lo han fatto ritornare in vita!

 

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